“Come un lago dalle rive basse che si perde in acquitrini, così Pentesilea si espande per miglia intorno in una zuppa di città diluita nella pianura…”
Italo Calvino, Le città invisibili
“Atea, mistica, meccanica, macchina automatica NO Anima”, con questa frase, con questo verso, Giovanni Lindo Ferretti, poeta punk di una generazione passata, descriveva il progresso, il presente e l’avvenire. Il panorama che Ferretti propone, suggerendocelo anche con il prosieguo della canzone, lascia prefigurare una sconfinata e piatta terra, una metà atea, oppressa dal cemento e dalle costruzioni dell’uomo, e un’altra metà animista, cioè dove la terra ancora mantiene le sfumature del marrone, dove sopra cresce ancora il verde, da coltivare, da raccogliere, per nutrire. Adami e Scivoletto, i due registi del documentario A Nord Est, percorrono la Statale 11, da Mestre al Garda, 150 km di terra piatta, lottizzata, quella che loro definiscono un’unica “città diffusa”. Qualche intervista ad alcuni contadini ed allevatori, quelli ancora non sommersi. Fattorie basse e palazzoni condominiali alti, loro e la loro terra al centro, da difendere. Le atmosfere che dipingono lo scenario sono simili, per desolazione alternata ad edificazione, a quelle di un romanzo gogoliano. Una terra senza anima, piatta ed abbandonata, ed un’altra dove l’anima è stata venduta, dove l’anima è morta: edificata.
Le spiegazioni del fenomeno, dall’industrializzazione forzata all’edificazione aberrante della terra, sono lasciate ai pochi contadini rimasti. Anziani, rassegnati e remissivi alcuni, fieri e battaglieri altri. Sulla statale 11 la terra è sempre meno, i pascoli diminuiscono, le colture altrettanto. Dalle voci di chi quella terra lavora, capiamo che la speculazione sulla lottizzazione è stata calata dall’alto, con forza, alcuni perdendo la propria terra senza guadagnarne niente, altri, guadagnandoci sopra, come dice, orgogliosamente, uno di quest’ultimi: “Io sono uno di quelli che la terra l’ha comprata a chilometri e l’ha rivenduta in metri”. I due registi tendono le orecchie al paesaggio, di parole ce ne sono molte, rivendicazioni altrettante, ma loro non voglio farcire il loro lavoro con chiacchiere e parole, lo lasciano muto. Lasciano che la terra, su quella strada, parli attraverso il suo silenzio. D’altronde è dal silenzio che si considera una terra. Togliendo l’umano parlare, la terra parla anch’essa. Una città, sarà rumore, voci indistinte, il tempio degli uomini; una campagna in edificazione, invece, possiede in sé l’ultimo avvertimento della terra ed il nuovo corso del mattone; sarà morente e chiassosa, come un uomo sul letto di morte, né vivo, né morto, ma stretto alla vita e teso verso la morte. Edificando la campagna aiutiamo l’uomo a morire. É l’eutanasia della natura.
Quello che traspare è un terra “igienica” (volendo rimanere tra le definizioni iniziali del Ferretti), “ridotta”, “imbelle” e “sterile”. Le atmosfere del silenzio ci sono tutte, basta una ruota di un carro, che percorre due metri e poi cade in un capannone abbandonato, basta una lenta panoramica sulla terra piatta da un lato ed edificata dall’altro, silenziose immagini per farci capire il silenzio della civiltà razionale. Nient’altro, né a destra della statale né a sinistra della stessa, una casa, poi terra all’orizzonte, un centro commerciale, magari una fabbrica, e poi altra terra, ma sempre meno. A Nord Est inizia la terra diffusa, città a ciuffi, terra che ne reclama altra, mattoni e cemento che ne vogliono ancora, scandita con il ritmo di un ossimoro: l’antitesi della Ragione edilizia. “Il progetto ha preso il via dall’enorme contraddizione. La terra-simbolo dell’Italia ricca e avanzata appariva nella realtà come un animale ferito e sofferente, che nascondeva dietro di sé il sentimento di una perdita irrimediabile. Un territorio segnato da selvagge lottizzazioni, un paesaggio in perenne mutazione, una marginalità capillare, tutto l’opposto dunque dell’immagine che solitamente ci si fa del benessere. Tuttavia, a ricordarci che non si trattava di una regione povera e disagiata erano gli innumerevoli fuoristrada, le villette dalle forme più sfarzose e disparate, i centri commerciali dai parcheggi stracolmi. Un’ambiguità simile non può non trasformare questa regione da simbolo di prosperità in simbolo di uno sviluppo traumatico, non dissimile peraltro a quello di molti altri luoghi del nostro pianeta.” Queste le parole dei due autori. Senza lungaggini auto compiacenti i due registi descrivono il paesaggio con “l’imparzialità e la precisione di un cartografo”. Documentario on the road presentato in vari festival internazionali, vincitore del Premio Emilio Lopez al Festival del documentario D’Abruzzo e oggetto di menzione speciale della giuria al festival CinemaAmbiente di Torino del 2010. Entrambi gli autori fondano la Pinup Filmaking, giovane casa di produzione indipendente, che grazie al coraggio ed all’impegno assunto in questo documentario, si distingue nel sottobosco indipendente del panorama cinematografico romano.