Offspring

La trasposizione filmica dell’omonimo romanzo di Jack Ketchum, seppur assai imperfetta, regala interessanti spunti di riflessione sul rapporto tra opera letteraria e grande schermo.

Il romanzo Offspring, firmato dall’aggressiva e talentuosissima penna dello scrittore statunitense Jack Ketchum, viene pubblicato nel 1991, a undici anni di distanza dall’esordio con Off Season, di cui Offspring è sequel letterario. Off Season fu il classico debutto col botto: attirò, da subito, l’attenzione di estimatori e detrattori, provocò numerose polemiche per la violenza del narrato e, in primis, gettò le basi tematiche per la maggioranza dei suoi lavori successivi. L’uomo come animale selvaggio, il conflitto tra civiltà (apparente) e non-civilizzazione tribale, il mettere alla gogna l’istituzione della famiglia, smembrandola dall’interno, anche letteralmente.

La trasposizione cinematografica giunge nel 2009, su script dello stesso Ketchum, che riprende il canovaccio narrativo di Off Season e colloca gli eventi del romanzo-sequel a dieci anni di distanza da quelli del primo libro, mai adattato per il grande schermo.

Le opere di Ketchum incontrarono il buio delle sale, per la prima volta, nel 2006 con The Lost: l’anno successivo è il turno del riuscitissimo La ragazza della porta accanto, e nel 2008 è la volta di Red, forse la pellicola più acclamata tra quelle tratte dalle viscerali opere dello scrittore nativo del New Jersey. Offspring sarà infine seguito da The Woman (2011), magnifico e controverso, diretto da Lucky McKee. I romanzi Off Season, Offspring e The Woman fanno parte della cosiddetta Dead River series, una trilogia cannibalica che prende il nome dal paesino in cui hanno luogo gli eventi e dall’omonimo fiume che attraversa il Maine, stato che fa da sfondo a queste narrazioni tanto gruesome quanto profondamente disturbanti.

Offspring è diretto da Andrew van den Houten, già produttore di The Girl Next Door e, in seguito, di The Woman. Van den Houten decide di prendere il timone della regia, affidandosi alla sceneggiatura dell’autore originale, con risultati interessanti ma al tempo stesso controversi. Si narra del nucleo famigliare composto da David, Amy e la figlia neonata, il cui equilibrio viene turbato da due eventi paralleli, uno esterno (un delitto orribile) e uno interno alle mura domestiche: l’arrivo di Claire e di suo figlio Luke, in fuga da Stephen, marito abusivo, padre assente, yuppie misogino ed evasore fiscale. A queste due famiglie, si contrappone il nucleo centrale del film, ossia la tribù di cannibali: due uomini, due donne (tra cui la notevolissima Polyanna McIntosh, che ritornerà nel medesimo ruolo nell’assai superiore The Woman) e alcuni bambini, sottratti alle proprie famiglie al fine di avere una stirpe, l’offspring, per l’appunto: pargoli che non esitano a compiere atti di estrema violenza, uccidono e divorano, abbigliati in modo piuttosto improbabile e, per molti versi, un po’ risibile.

Immagine rimossa.

La pellicola, seppur interessante per i fans di Ketchum e delle tematiche cannibaliche, presenta delle pecche che ne inficiano il risultato finale: si parte dalla sceneggiatura, che l’autore ha adattato eliminando la componente di immedesimazione presente nel romanzo – nel quale si entrava nei pensieri dei membri della tribù provocando un reale turbamento nel lettore – e portando a zero il fattore empatia per le vittime. La messa in scena per mano di van den Houten si può definire piatta e bidimensionale: non vi è approfondimento dei personaggi, si assiste a scene assai cruente senza sentirsi più di tanto disturbati, alcuni dialoghi sono estremamente banali e il cast di attori ignoti di certo non aiuta. L’idea che reggeva magnificamente le pagine di Off Season – ispirata alla storia di Alexander “Sawney” Bean, capo di un clan scozzese del XV secolo dedito al cannibalismo, personaggio alla base di numerosi altri horror tra cui Le colline hanno gli occhi di Craven – ossia la contrapposizione di civilizzati e selvaggi in cui i primi non sono di certo migliori dei secondi, e il confronto tra famiglie, quelle apparentemente normali e quella di antropofagi, qui si vanifica in una patina superficiale.

Queste tematiche, com’è noto, erano già state sviscerate in ben altro modo da titoli come L’ultima casa a sinistra e il già citato Le colline hanno gli occhi . Non si punta sui personaggi, né tantomeno sulle situazioni: si gioca tutto sul gore, sul sangue, sulle budella a vista. Van den Houten pensa di scioccare lo spettatore con un bel po’ di lattice, bambini cannibali e tanto plasma finto, ma fallisce, lì dove invece Lucky McKee, due anni dopo e stendendo lo script a quattro mani con Ketchum, colpirà nel segno con The Woman.

Le atmosfere restano cupe e suggestive, con alcuni momenti potenti – l’incipit promette assai bene e si dimentica difficilmente – e uno score rumorista/minimalista che è discendente diretto dell’alienante sottofondo sonoro di Texas Chainsaw Massacre.

Offspring non è un film indispensabile, sia a livello qualitativo che di realizzazione: tuttavia, lo diventa inserendolo nel quadro più ampio delle trasposizioni da Ketchum, tessera di un mosaico tanto discontinuo e contraddittorio quanto affascinante.

Autore: Chiara Pani
Pubblicato il 25/09/2015

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