Our Souls at Night
Il film di Batra prodotto da Netflix fa leva sui corpi iconici di Robert Redford e Jane Fonda ma non riesce ad evitare che il ricordo finisca per trasformarsi in materia informe.
Una sera come tante altre, Louis Waters (Robert Redford) sente bussare alla propria porta. La visitatrice inaspettata è Addie Moore (Jane Fonda), la sua vicina di casa da una vita, che gli propone di condividere le loro solitudini e di dormire insieme dalle notti seguenti. Per quale motivo? «Per superare la notte, stare insieme e parlare un po’». Entrambi sono vedovi e hanno i figli che vivono lontano. Potrebbe essere arrivata l’ultima occasione per conoscersi meglio e scoprire reciprocamente aspetti caratteriali fino ad allora sconosciuti.
Da una prima lettura della trama, comprendiamo quanto Our Souls at Night, prodotto e distribuito da Netflix e diretto da Ritesh Batra, non abbia particolari aspirazioni ma sia caratterizzato da un mood ben riconoscibile: due anziani ormai soli con un dramma alle spalle decidono di sfidare le convenzioni della comunità in cui vivono, la cui rappresentazione, d’altronde, aderisce anch’essa ad una serie di cliché. Dalla migliore amica di Addie, comprensiva ma timorosa di poter essere sostituita da Louis, ai buddies del protagonista maschile, dediti a prese in giro di non irrilevante intensità. L’unico fattore di interesse di quest’operazione risiede nella coppia protagonista: Robert Redford e Jane Fonda. Grandi protagonisti del cinema hollywoodiano anni ’60-’80, campioni della cultura liberal, già insieme ne La caccia di Penn, A piedi nudi nel parco e Il cavaliere elettrico di Pollack, i due attori si ritrovano, invecchiati ma non meno affascinanti, a condividere lo schermo di un cinema che non è più quello dei combattivi anni da loro trascorsi, in preda ad una migrazione che lo sta portando verso nuovi lidi.
Se è vero che la forza di un divo e di un corpo iconico stenta a morire, superando in slancio quella di opere letterarie e filmiche, è allora innegabile che non avremo troppe difficoltà a ricordare, in futuro, l’espressione stanca di un Robert Redford finito ad occuparsi di faccende domestiche di secondo piano. Né quella di una Jane Fonda che non esita ad infischiarsene del parere dei vicini sulla sua nuova relazione senile. Our Souls at Night è un manifesto di resistenza in cui il corpo umano dei suoi protagonisti si trasforma in un’ancora salvifica per combattere la paura della morte e della fluidità dell’epoca moderna attraverso una serie di storie che narrativizzano la vita di Louis ed Addie. In un cinema sempre meno cinema e più altro, sono i corpi dei divi ad essere diventati contenitori di immaginario. Peccato, tuttavia, che questo dramma non riesca del tutto ad attingere alla generosità dei suoi interpreti ma si limiti ad attestarsi su un mediocre livello di rispettabilità priva di particolari interessi. Il film è privo dell’aura e della forza che la Ford e Redford emanano lungo tutta la sua durata. Le sequenze, costruite su classici campi e controcampi e su continui dialoghi che hanno l’obiettivo di collocare al centro dell’inquadratura i due divi, sono confezionate in modo puntiglioso ma si limitano ad una superficiale pulizia che porta in scena ricordi sbiaditi ed una delicatezza priva di forma.