The Outsider - Il cinema di Antonio Margheriti

“Quello che noi abbiamo sempre cercato di fare

è stato dare al pubblico quello che il pubblico voleva.

Con passione ed entusiasmo. E senza un filo d’ipocrisia”

Joe D’Amato

“È più importante fare un film brutto nel momento giusto,

che fare un film buono nel momento sbagliato”

Antonio Margheriti

Da un lato Fellini, Visconti, Antonioni e De Sica; dall’altro Joe D’Amato, Fulci, Castellari e Margheriti. Due mo(n)di differenti di intendere e realizzare il cinema. Il cinema di Serie A (inteso come autoriale ed artistico) che faceva incetta di premi ai maggiori Festival contro un cinema di Serie Z che appagava solo il desiderio scopofilo dello spettatore. Quindi parole sincere – e sante –quelle di Aristide Massaccesi, alias Joe D’Amato, che fu uno dei massimi esponenti del cosiddetto cinema trash italico da esportazione. Dopo tutto le loro produzioni avevano budget risicati ed era necessario mettere l’arte da parte, perché le velleità artistiche non facevano (sempre) incassare. Anzi, rimanendo sul filo delle citazioni (basse), a questo punto è anche divertente riportare la famosa battuta di Alvaro Vitali pronunciata in L’infermiera nella corsia dei militari di Mariano Laurenti: “Davanti all’arte togliti le mutande e mettile da parte”. Battuta che può spiegare bene come un certo tipo di pubblico cercasse solo il basso appagamento, il sollazzo dei sensi. Ma mentre il primo manipolo di registi veniva acclamato ed etichettato come autore sin da subito, la seconda falange veniva massacrata dai critici e confinata nei cinema di periferia o nelle sale parrocchiali. Solo a metà degli anni Novanta, prima con le fanzine Amarcord e Nocturno Cinema, e poi con l’outing cinefilo ed autorevole di Quentin Tarantino, si sono riscoperte queste opere e questi “Piccoli Maestri”, e la loro politique des autores. Certo, spesse volte sono di scarso valore, ma qualche volta sono molto valide ed interessanti, tanto da far venire a qualche spettatore cinefilo la voglia di passare dietro la macchina da presa. Ad esempio, se per Truffaut fu la visione di Citizen Kane di Orson Welles, per Luigi Cozzi fu la visione, in adolescenza, di Space Men di Margheriti.

Ed è proprio nella schiera di questi realizzatori riscoperti che uno degli scranni principali viene occupato da Anthony M. Dawson, aka Antonio Margheriti. Esploratore di generi, eclettico ed umile, Margheriti ha affrontato (quasi) tutti i generi cinematografici, come gli altri suoi illustri coetanei Massaccesi e Fulci. Dalla fantascienza alla commedia, passando per l’horror e il musicarello; dallo spaghetti western all’erotico fino al genere avventuroso e polizi(ott)esco, Margheriti ha solamente evitato l’hard-core. Nato a Roma nel 1930 e scomparso nella sua villa a Monterosi nel 2002, ha preso parte, come regista e anche in altri ruoli, ad oltre ottanta pellicole. A dieci anni dalla sua morte il figlio Edoardo Margheriti gli rende omaggio con il breve documentario The Outsider – Il cinema di Antonio Margheriti. Edoardo è stato a stretto contatto con il padre per oltre quarant’anni, non solo per un legame familiare ma anche lavorativo. Già da bambino bazzicava i disparati set come “spettatore frugoletto”, per poi divenire a tutti gli effetti fidato assistente. Il titolo di questo mediometraggio rende bene l’idea di come suo padre fosse un estraneo o, nell’altra accezione del termine, (quasi) un intruso negli schemi produttivi fissi e rigidi del panorama cinematografico italiota.

Margheriti esordì prima come sceneggiatore, scrivendo una manciata di pellicole per Turi Vasile e co-dirigendo assieme a lui nel 1958 Gambe d’oro, film calcistico con protagonista Totò. Poi, sfidando lo scetticismo dei produttori italiani, che gli concedono un budget misero, debutta pienamente alla regia con Space Men – Uomini spaziali, pellicola di fantascienza realizzata nel 1960. Già, quel 1960 in cui sugli schermi nostrani ed internazionali venivano proiettati alcuni capolavori del cinema mondiale: La dolce vita di Fellini, Rocco e i suoi fratelli di Visconti, L’avventura di Antonioni e La ciociara di De Sica. Un’epifania benedetta sin dall’inizio, perché Space Men sarà un grosso successo, a fronte di un miserrimo budget di meno di 50 milioni di lire. Per “ingannare” il pubblico italiano, la pellicola venne firmata con il nickname Anthony Daisies, traduzione letterale del nome/cognome italiano che suscitò l’ilarità dei distributori americani (daisies si traduce come margheritine). Quest’opera già delinea lo stile margheritiano, fatto di ingegno e visionarietà che riesce a sopperire agli irrisori budget che gli vengono elargiti dalle case di produzione. Ma non solo, già si denota una sua forte fantasia nel creare storie, e soprattutto nel curare e realizzare gli effetti speciali, tanto che Stanley Kubrick, durante la pre-produzione di 2001:Odissea nello spazio, avendo visto uno dei suoi film di fantascienza (si suppone sia I diafanoidi vengono da Marte), lo contattò per la creazione degli effetti speciali del suo viaggio oltre l’infinito, offerta che Margheriti declinò perché lo avrebbe allontanato per troppo tempo dai suoi progetti personali. Kubrick però non è il solo nome di pregio ad intersecarsi con la carriera di Margheriti; nella sua filmografia risaltano le sue partecipazioni a Giù la testa di Sergio Leone (le scene dell’esplosione del treno) e alla bizzarra collaborazione con la Factory di Andy Wharol, che era in Italia per girare due opere horror. Suddette pellicole, realizzate dall’adepto Paul Morrisey, sono: Il mostro è in tavola… barone Frankenstein e Dracula cerca sangue di vergine… e morì di sete!!!. La mansione di Margheriti in queste due pellicole non è solo quella di curatore del make-up, ma anche di regista per la versione italiana.

Ma oltre al genere di fantascienza, non va dimenticato come Margheriti abbia dato anche un ottimo contributo all’horror gotico italiano. Assieme a Mario Bava, autore di “serie B” ma molto stimato oltralpe dai critici dei Cahiers du Cinema, ha almeno due pellicole di pregevole valore: Danza macabra e Contronatura. Stile gotico che poi ha anche portato ed innestato in E Dio disse a Caino, uno dei migliori succedanei spaghetti-western post Sergio Leone. Come scritto all’inizio, Margheriti si è però cimentato anche in molti altri generi, finanche nella commedia pseudo-disneyana. Forte del successo fin qui ottenuto con le sue opere di fantascienza ed horror, Margheriti decise di realizzare una pellicola per famiglie: L’innafferrabile invincibile Mr. Invisibile. Sulla carta sembrava un’opera vincente: budget elevato che consentiva effetti speciali migliori, e l’ingaggio di Dean Jones, superstar della casa di Mickey Mouse. Purtroppo la pellicola, a fronte di un budget abbastanza elevato, fu un tale insuccesso che costrinse Margheriti per svariato tempo a lavorare su commissione.

Tutto questo, ed altro ancora, viene tratteggiato appunto in The Outsider, attraverso immagini di alcuni dei film da lui diretti, qualche filmato d’archivio e/o di backstage, e alle conversazioni con qualche addetto ai lavori che lo ha incontrato. Nell’interviste tutti concordano che Margheriti era una grande persona di spirito, con sempre una battuta pronta e, altresì, aveva il dono di essere critico e allo stesso tempo sbeffeggiarsi del suo lavoro, come sottolinea la battuta riportata in esergo. Margheriti era consapevole di aver realizzato tante pellicole non decenti, ma ha avuto la fortuna, la bravura o forse il fiuto di azzeccare a volte il momento della realizzazione. Però The Outsider, seppur sia un amorevole omaggio/viaggio compiuto dal figlio Edoardo per il genitore, è purtroppo abbastanza piatto. Seppur con qualche ghiotto retroscena o qualche dolce ricordo, tale documentario è solo una breve carrellata laterale nell’articolata e lunga carriera di Margheriti. Oppure si potrebbe definirlo un lungo scoppiettante trailer di presentazione delle opere di Anthony M. Dawson.

Autore: Roberto Baldassarre
Pubblicato il 20/08/2014

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