Ehi, chi è lo stronzo che deve morire oggi?
Brandon Bryant, ex pilota di droni statunitensi
Esergo audace, il nostro. Battuta sconsiderata, quella di Brandon Bryant. La storia di Brandon può risultare appropriata per un’analisi come la nostra, la quale – vedremo presto – deve confrontarsi con un testo filmico che vuole per sua stessa natura oscillare fra il semplice e il complesso, fra il giocoso e il riflessivo, fra il dettaglio e la sua universale esemplificazione. Bryant è un ex pilota di droni. Nonostante abbia solcato il territorio iracheno, l’ex soldato ha compiuto gran parte dei suoi servigi alla patria in New Mexico. Lì, in una roulotte senza finestre, trascorreva circa dodici ore al giorno. Davanti ad una console, Bryant comandava droni nelle zone di guerra mediorientali. Da Cannon, Nuovo Messico, Brandon ha ucciso innumerevoli persone nei teatri di guerra a più di undicimila chilometri da lui. Velivoli comandati a distanza, con una tecnologia sofisticatissima che restituiva il segnale video nella console di Brandon con appena due secondi di ritardo, hanno potuto sorvolare i cieli mediorientali in virtù di una schiacciante potenza tecnologica degli USA che ha fatto la differenza in termini bellici, politici ed economici. Se l’aneddoto regge il paragone, l’equilibrio fra dettaglio e comprensione d’insieme sopraenunciato sta tutto nella storia di Brandon: l’infamità di una guerra non combattuta alla pari connota lo spessore morale di chi la combatte, di chi l’esercita, di chi ci specula e di chi ne rivendica la fondatezza ideologica e attuativa.
Jacopo Bonvicini, Emilio Distretti e Francesco Merini hanno voluto giocare su di un crinale poetico e morale assai simile. Zimmy è lo scanzonato leader del gruppo rockabilly Lou del Bello’s. Con la tipica giovialità e freschezza bolognese, Zimmy è un uomo di città, amante dei confort di cui la nostra società lo circonda, piuttosto pigro e sedentario e con la ferma volontà di non abbandonare mai la sua amata Bologna. Ma un giorno, complici le inestricabili vie del destino, gli viene offerta la possibilità di andare in Palestina per insegnare musica agli autoctoni. Nonostante le prime riluttanze il giovane accetta, portandosi appresso la sua band. Una volta lì Zimmy comincia a fare i conti con la bellezza del popolo che lo sta ospitando, con le difficoltà che per lui significano l’assenza di confort e con una partecipata indignazione per l’attuale assetto nazionale palestinese. Zimmy filma tutto, rapportandosi con il girato come fosse un diario di bordo. Scritti inesperti, i suoi. Propri di un novizio. Questo è Palestina per principianti: l’educazione sentimentale di un tirocinante di geopolitica. E se il teatro del praticantato è la Palestina, resta facile immaginare quanto questo apprendistato possa essere stato al contempo giocoso, entusiasta, tragico e spaventevole.
Il documentario di Francesco Merini (autore di Paglione e Cavedagne) offre uno sguardo illibato della questione palestinese, con tutte le sue idiosincrasie, acutezze, frustrazioni e gioie, per uno degli scenari internazionali più complicati della contemporaneità. L’opera di Merini è sincera, ben articolata e incorruttibilmente partigiana. Talvolta alcune imprecisioni tecniche e di scrittura fanno prendere al documentario pieghe che rasentano il didattico e il melenso oltre ogni giustificazione etica o narrativa. Ciononostante Palestina per principianti è un testo che diversamente dal solito guarda alla questione palestinese, con quel brio – che mai dimentica il tragico – che intrattiene e diverte. Una Palestina “pop” – o, meglio, rockabilly – per una coscienza popolare maggiorata.