Military Wives
Peter Cattaneo racconta in modo godibile e poco originale una storia di crescita tutta al femminile, sullo sfondo della guerra in Afghanistan.
Le donne di Military Wives, mogli dei soldati (e soldatesse) vivono quotidianamente la guerra senza essere al fronte. Di sovente matrimoni del genere costringono figli e consorti ad abituarsi a periodi di felice convivenza alternati a lunghi distacchi, e se poi oltre alle normali esercitazioni del caso si aggiungono vere e proprie missioni belliche, l’esigenza di mantenere in famiglia una minima percentuale di normalità diventa essenziale per la serenità di tutti. Come si può passare serenamente il tempo in una base militare, nell’attesa e nella paura che succeda qualcosa a chi è andato via?
Parte da questo la storia del nuovo film di Peter Cattaneo, un omaggio al lato nascosto della vita militare, laddove di solito si preferisce dar maggiore spazio ai successi (e alle infamie) dei soldati in guerra. Ambientato in una base militare inglese, il film vede corrispondere al movimento degli uomini la forzata immobilità delle moderne Penelopi, che non trovano niente di meglio da fare che cristallizzare il tempo della lontananza in mille piccoli appuntamenti dediti alle sbronze e alle risate. Tra di loro c’è Kate (Kristin Scott Thomas), che una volta perduto il figlio in guerra si dedica ad acquisti casalinghi compulsivi per evadere da un’assenza non più temporanea. Come spesso accade, la sua indole dittatoriale e rigida la priva della simpatia delle altre mogli, simpatia invece facilmente accordata a Lisa (Sharon Horgan) per il suo carattere alla mano. Secondo uno schema piuttosto prevedibile le due donne, sulla carta incompatibili, supereranno le iniziali comprensioni grazie all’idea della creazione di un coro per riempire il tempo troppo lungo e solitario di tutte le donne della base militare mentre i consorti sono via in Afghanistan: un’iniziativa che oggi è stata ripetuta da decine e decine di gruppi di mogli.
La struttura di Military Wives è semplice e abbastanza prevedibile, e si evolve toccando tutte le tappe tipiche del tema, ovvero la crescita individuale e collettiva di un gruppo di persone attraverso la capacità di mettersi in discussione accettando nuove sfide. Se i soggetti di Kristin Scott Thomas e Sharon Horgan obbediscono diligentemente ai paradigmi narrativi imposti dai loro ruoli (la donna rigida impara a sciogliersi e quella facilona a essere più responsabile ecc) è il gruppo raccontato da Peter Cattaneo a incarnare la parte più interessante e originale della storia. Con leggere pennellate, senza raccontare troppo dei suoi personaggi, il regista lascia intuire da minimi dettagli piccole verità che sanno rendere reali, per quanto sconosciute, le loro vite.
Cantare è all’inizio un gioco, e così Lisa lo insegna alle altre, ma è solo quando il divertimento si combina alla disciplina di Kate che il coro si eleva a un’esperienza di crescita spirituale, dove si canta per i vivi e i morti: il controllo della voce per garantire un’interpretazione adeguata diviene così controllo della propria vita, espressione e accettazione di un dolore che non può essere cancellato. La musica pop usata all’inizio, ottima per rendere l’idea di un gruppo di amiche che canta rumorosamente per il gusto di urlare a squarciagola, lascia lo spazio alle parole d’amore per chi è andato via, nella consolazione del fatto che se si soffre è perché si ha amato molto, e quindi si ha vissuto davvero.
Military Wives mantiene ciò che promette fino in fondo, offrendo una storia minutamente dosata nei suoi momenti allegri e drammatici, senza alcuna sorpresa a scuotere l’anima: la sua prevedibilità non prescinde però dalla godibilità della visione, forse proprio garantita dalla certezza di veder le cose svolgersi esattamente come ci si aspetta. La guerra è sempre presente sullo sfondo, pronta a portarsi via le persone amate a lungo o per sempre, ma è collettivamente accettata come un dato di fatto che nessuno mette mai in discussione, e forse è meglio così; non è detto che Cattaneo, regista di qualità oramai però lontano dall’irriverente lotta di classe di Full Monty – Squattrinati organizzati (1997) avrebbe saputo muoversi altrettanto bene al di fuori del percorso tracciato.