Rada
A picco sul mare ligure, un grande edificio ospita una casa di riposo per anziani marinai. Rada ne racconta la quotidianità e insieme i ricordi di un passato evocato con desiderio e malinconia.
A Camogli, in provincia di Genova, un grande palazzo a picco sul mare ospita la casa di riposo "G. Bettolo", meglio nota come "Casa di riposo della gente di mare": è qui che si sono ritirati quasi una ventina di anziani marinai, che il regista Alessandro Abba Legnazzi - bresciano, classe 1980 - decide di raccontare nel suo film Rada, concepito come un’operazione per certi versi ibrida a metà tra documentario e fiction. L’idea di partenza nasce proprio dalla scoperta casuale di questo luogo e quindi dalla volontà di dare spazio tanto alle memorie quanto alla quotidianità delle persone che vivono qui: chi scrive in rima e vanta una vittoria a un concorso di poesia, chi studia attento e affascinato i moti dei pianeti, chi a novantacinque anni spera ancora ostinatamente di vincere all’Enalotto; tutti però sono accomunati dal ricordo potente e nostalgico di un passato avvincente e avventuroso, fatto - come da copione - di luoghi esotici (dai Caraibi al Giappone) e belle donne.
La distesa piatta e calma del mare ligure, onnipresente fuori dalle finestre, accompagna ancora le giornate dei vecchi marinai, per i quali ogni cosa - dal linguaggio usato agli oggetti custoditi con cura nelle stanze - si richiama al mondo imprescindibile del mare. Lo stesso terrazzo dell’edificio diventa una sorta di ponte da cui scrutare le barche in lontananza, alzare le bandiere al mattino e ammainarle alla sera. E’ come se la vita sulla terraferma, per gli anziani protagonisti, non fosse di fatto quella definitiva e "vera", ma piuttosto una fase contingente, transitoria, ipoteticamente sospesa tra un imbarco e un altro, in cui si cerca come si può di ammazzare il tempo. E tuttavia la consapevolezza di non poter più tornare a lavorare sulle navi è nitida e amara nella mente degli ospiti di Casa Bettolo. Legnazzi ha girato il film a colori per poi virarlo in bianco e nero, probabilmente anche nell’intento - condivisibile - di costruire un’atmosfera il più possibile consona alla dimensione evocativa, fuggente e malinconica del ricordo, entro la quale Rada prende forma, e della quale di nutre. Del resto, al di là dei racconti vivaci e del buonumore di molti dei protagonisti, il film è inevitabilmente anche una toccante meditazione sul tempo che passa. La rada, "un’estensione di mare circondata da coste dove la nave sosta all’ancora al riparo dai venti e dalle correnti in attesa di entrare in porto" - come recita la didascalia finale - è insomma un’indovinata metafora assieme triste e poetica di un viaggio ormai giunto al suo termine.
Il regista ha alle spalle un primo documentario, Io ci sono, realizzato nel 2012 con gli alunni e le maestre di una scuola elementare di Brescia; proprio all’interno di scuole e centri di aggregazione giovanile ha coordinato laboratori di cinema e girato cortometraggi. Con Rada, vincitore del premio come miglior documentario italiano al trentaduesimo Torino Film Festival, rivela uno sguardo al contempo incuriosito e rispettoso, capace di offrire una descrizione delle cose non appiattita e non banale. Inscrivendosi in una tendenza che sembra caratterizzare l’approccio di molti giovani documentaristi italiani negli ultimi anni, prova a lasciare a margine la propria presenza registica affinché la materia si plasmi quasi da sola, autonomamente e liberamente, davanti a una macchina da presa concepita quasi come un occhio meccanico volto a catturare il vissuto, il quotidiano, l’autenticità del reale nel suo accadere.