Il principe di Ostia Bronx
“Tanto qua non stamo a fa er cinema, stamo a gioca'!” Dario Galetti Magnani, il Principe
Il Principe (Dario Galetti Magnani) e la Contessa (Maurilio Fonte) da vent’anni hanno fatto della spiaggia di Capocotta a Ostia il loro personale palcoscenico: una miriade di costumi teatrali e carnevaleschi (da geisha, da superman) assieme a un’oggettistica di scena improbabile quanto attentamente studiata (una pistola giocattolo, un vecchio stereo o dei tappi da lavandino che all’occorrenza possono diventare orecchini) accompagnano i monologhi fantasiosi e amareggiati di lui e le performance estrose di lei. E’ una rivincita vitale e anarchica contro quel mondo – le scuole di recitazione, le università, i circuiti ufficiali insomma – che ha sbarrato loro le porte o nel quale, in un modo o nell’altro, non hanno saputo o voluto trovare il proprio spazio. Quella del Principe e della Contessa è una resistenza creativa e disperata, portata avanti con l’ostinazione dei sognatori incalliti e al contempo con l’ironia disincantata di chi è dovuto scendere a patti con la crudezza della realtà e conosce bene la disillusione.
Il regista Raffaele Passerini, già produttore a New York, decide di raccontare la loro storia e soprattutto la loro quotidianità nel suo documentario Il principe di Ostia Bronx, forse per restituire ai suoi protagonisti quello spazio performativo che gli è stato sempre negato o forse, più semplicemente, perché sedotto dal loro eccentrico e contagioso vitalismo. Li accompagna in spiaggia e osserva i loro strambi travestimenti, offrendo l’obiettivo alla loro voglia di improvvisare, giocare e raccontarsi. Li segue nella casa del Principe, un appartamento dove i due hanno affastellato un quantitativo esorbitante di oggetti raccattati qua e là, trasformando gli ambienti in luoghi angusti e claustrofobici tanto che camminare senza urtare nulla è quasi impossibile. C’è la stanza del cinema (con un proiettore e molti poster), quella della musica (dove i vinili sono perfino a terra) e quella dei costumi (un inesauribile guardaroba kitsch). Ma anche in cucina e in bagno ogni parete è diventata ormai una scenografia. L’horror vacui che domina tutto è il segno di uno spirito esuberante e appassionato, quello di Dario – pittore ispirato oltre che performer autodidatta – innamorato da vent’anni della sua Contessa, fervente ammiratrice della Bergman e della Magnani che, nonostante i trascorsi rifiuti della Silvio D’Amico, non sembra aver rinunciato affatto alle sue velleità attoriali.
Presentato – e pluripremiato - al Biografilm Festival di Bologna e poi a Visioni Fuori Raccordo – Rome Documentary Fest, il film di Passerini è, assieme, il racconto di un amore solidale e romantico e la disamina, più che di un fallimento, di un sogno che si infrange a contatto con la realtà senza per questo mai estinguersi davvero. Più di ogni cosa, è un entusiastico inno alla libertà: quella dei protagonisti, che cercano (e trovano) la loro autoaffermazione nell’essere caparbiamente irriducibili. Ma anche quella del cinema stesso, che si mette al servizio di un reale iperbolico, liminale, magnetico e quindi già di per sé cinematografico, facendosi affettuosamente cassa di risonanza del vissuto dei “personaggi”. Un cinema che è puro sguardo, nel quale l’occhio della macchina da presa sta incollato ai volti e ai corpi, veicolo di un’espressività autentica, brillante e incontenibile che qui sembra trovare, finalmente, il giusto spazio per fluire senza impedimenti in tutta la sua travolgente portata.