Ritorno a Kurumuny è un film documentario girato in Italia nove anni or sono dal regista Piero Cannizzaro (classe 1953). Un autore, Cannizzaro, protagonista attivo della cinematografia nostrana e conosciuto soprattutto in ambiente documentaristico, nel quale vanta numerose collaborazioni con le emittenti televisive più famose quali RAI, Mediaset e Sky, nonché molteplici partecipazioni e menzioni in maggiori e minori festival dello stivale e non. Lo stesso Ritorno a Kurumuny è paradigma dell’attività di Cannizzaro; l’opera viene infatti selezionata come vincitrice del premio Ischia Film per miglior documentario al Foreign Film Festival del 2004, ottenendo inoltre in un secondo momento il passaggio in onda sulle frequenze di TV-Svizzera italiana e Cult (Sky), affermandosi come un riconosciuto prodotto di interesse culturale nazionale. Dopo questa brevissima carrellata in avvicinamento sulla figura del regista, apprestiamoci ora a scoprire cosa sia e di cosa tratti l’opera in oggetto.
Cominciamo col soffermarci per qualche istante sul titolo stesso del documentario, Ritorno a Kurumuny, e sulle riflessioni che da esso possono derivarne. In un certo qual modo, chiunque non mastichi molto di Salento, o comunque di geografia pugliese, è probabile che non riesca ad attribuire un significato preciso e immediato al nome Kurumuny. Questo nome suona all’orecchio in modo strano, come un qualcosa di esotico, particolare (la radice è infatti greca), da associare a una lingua altra che non sia l’italiano e che di conseguenza rende impossibile, salvo previa conoscenza, l’attribuzione al titolo di un significato preciso. Ci si chiederà allora; cos’è dunque Kurumuny? Ebbene il documentario ci mostra che Kurumuny, questo astruso nome, è prima di ogni altra cosa un luogo; un luogo fisico e autentico del paesaggio salentino, e più precisamente della campagna di Martano (LE). Kurumuny è una zona di grande importanza storica e culturale per il Salento, un luogo che nelle generazioni passate è stato crocevia di usanze, feste, balli, canti e tradizioni popolari che col passare del tempo sono inevitabilmente sbiadite sempre più, fino ad arrivare a smarrirsi lungo quell’enorme e dispersivo sentiero che si chiama globalizzazione.
Per lungo tempo questo luogo impregnato del passato e delle tradizioni salentine è stato lasciato in disuso senza poter essere valorizzato, rischiando pericolosamente di precipitare anch’esso nel dimenticatoio, ormai sempre più nutrito, della storia del nostro paese. Ma al nome di Kurumuny troviamo anteposto il verbo Ritorno, e Cannizzaro ci mostra egregiamente nel suo documentario cosa significhi e in quale modo si verifichi questo Ritorno. L’architettura rurale, di pietre e alberi secolari lasciati a se stessi nella campagna di Martano, è stata infatti recentemente rilevata e fatta risorgere a nuova vita dall’impegno instancabile del ricercatore salentino Luigi Chiariatti. Egli ha restituito a Kurumuny l’importante valenza storica e antropologica che le era stata negata per lungo tempo, e lo ha fatto nel più coerente dei modi; ovvero mantenendo quell’umanità e quello spirito popolare che erano propri del luogo, associando il ritorno a Kurumuny alla festa popolare italiana per eccellenza: il primo maggio, il giorno del lavoro e dei lavoratori. Kurumuny si vede trasfigurata in questo modo in un luogo della memoria e dell’anima, in cui vengono ricordate e celebrate le radici, le tradizioni culturali e storiografiche del Salento, attraverso le esecuzioni di balli, canti e usanze che si erano perduti nel tempo ma che Luigi Chiariatti ha saputo recuperare attraverso un duro e lungo lavoro di setaccio e di ricerca nel passato e nella memoria del territorio e dei suoi abitanti.
Ritorno a Kurumuny permette di effettuare un tuffo in un passato ormai quasi dimenticato, e lo permette non in modo meramente nostalgico quanto invece costruttivo ed educativo, attraverso la scoperta (o ri-scoperta) delle tradizioni e di quei saperi antichi che costituiscono il DNA della nostra cultura e della nostra appartenenza al territorio. Ritorno a Kurumuny lancia un messaggio che va oltre la rappresentazione di uno scorcio di Salento, poiché esso è un monito, un invito a diffondere e non lasciare andare perduta le nostra storia, le nostre radici culturali.