Madre
Una madre che perde un figlio sulla spiaggia. Dieci anni dopo crede di rivederlo... quello di Rodrigo Sorogoyen è un film sottilmente ozoniano.
Un bambino si perde su una spiaggia. Una madre smarrisce un figlio. Dieci anni dopo, sulla stessa spiaggia, crede di rivederlo. Una sorpresa del Festival di Venezia arriva dalla sezione Orizzonti: come sempre chiamiamo “sorpresa” ciò che non ci aspettiamo, perché il regista di Madre, lo spagnolo Rodrigo Sorogoyen, riprende il suo corto dallo stesso titolo e lo reinventa cambiandone in maniera inaspettata il registro. Lo spiega lui stesso: «Mi sono allontanato dagli aspetti da thriller del cortometraggio che lo ha preceduto per esplorare la storia intima di una madre anni dopo che ha perso il figlio».
Ecco allora Elena (una magnifica Marta Nieto) che nell'incipit perde la prole: il bambino si trova sulla spiaggia da solo, per negligenza paterna, mentre il cellulare si scarica viene avvicinato da un uomo. È l'ultima notizia conosciuta: vittima di un pedofilo? Non lo sappiamo, ma questo basta per portare Elena alla separazione. L’ellissi ci conduce a lei oggi, barista sulla spiaggia, che “rivede” il figlio perduto nell'adolescente Jean (Jules Porier, non inferiore alla protagonista) e quindi inizia a seguirlo.
È davvero suo figlio? Su questo nodo si sviluppa il racconto. Sorogoyen manovra il film su più confini: Francia e Spagna, con le pedine che si portano dall'una all'altra e il dialogo costantemente bilingue; ragione e follia, perché l'intimo di Elena si muove sempre su una linea sottile e pericolosa; soprattutto amore tra madre-figlio contro rapporto tra amanti. La natura del legame tra Elena e Jean è infatti perennemente ambiguo: a metà tra sentimento e carnalità, tra affinità mentale e contatto fisico.
Ma Madre è anche, soprattutto, un film sulla spiaggia. Ricordate Charlotte Rampling che cerca il marito in Sotto la sabbia di Ozon? È ancora sotto la sabbia che si annida un mistero: qui ciò che è scomparso può tornare sotto altra forma, ciò che abbiamo perso si può forse ritrovare. Basta volerlo vedere: tra le spiagge di Rohmer (Elena, di fatto, vive “á la plage”) e le estati di Kechiche, si dispiega il balletto tra i protagonisti che in un caso diventa perfino letterale, sulle note de L’estate sta finendo.
Affresco di una madre (da titolo: letterale), percorso dal buio verso la luce, thriller mentale e perfino etico, all’ombra del possibile incesto, Madre semina dubbi e sospetti, doppi e ritorni, perdite e risarcimenti (la telefonata finale che “rimborsa” quella iniziale). Peccato solo che voglia smaccatamente chiudere il cerchio, e dunque la fine porta all’esplicito superamento del trauma che si poteva tacere; ma anche così resta un ottimo risultato, un film dall’odore ozoniano.