Esiste un mondo parallelo al nostro in cui il Festival Internazionale del Film di Roma, dopo i primi inciampi dovuti alla sua schiavitù per la mondanità e per gli interessi politici, ha defenestrato il suo Direttore Artistico sostituendolo con uno di grande fama e prestigio. Questo secondo ha fatto tesoro degli errori della precedente direzione risolvendoli e puntando tutto sulla settima arte, confezionando una kermesse pregna di opere di altissimo spessore. C’è da augurarsi che i mondi paralleli conservino, almeno in alcuni di essi, il principio di consequenzialità, cosicché a noi mancherebbero solamente gli ultimi due passaggi per definire quello di Roma un festival poco interessato ai cotillon e zeppo di opere di altissimo livello. Per il momento ci accontentiamo di ottimi segnali, annotando però che alcune mancanze continuano a persistere. Le carenze a cui facciamo riferimento sono riconducibili alle qualità artistiche che si registrano durante il Festival Internazionale del Film di Roma: se non si pretende che l’evento sia la passerella di tanti capolavori quanti i film presentati, è altrettanto vero che non si può continuare a soprassedere su qualità gravemente insufficienti di alcuni film come questo Main dans la main (Hand in Hand), per giunta presentano in Concorso.
L’opera di Valérie Donzelli narra le vicende di Hélène e Joachim, rispettivamente insegnante di danza all’Opéra di Parigi e impiegato in una ditta di specchi. Per un bacio fortuito avvenuto fra i due, i protagonisti sono legati specularmente l’uno a l’altro: sono obbligati da un “sortilegio” a ripetere i gesti dell’altro, a copiare le mosse dell’altro, per due vite agli antipodi che genereranno complicazioni, gag e – udite!, udite! – l’amore che sembrava impossibile. Inutile girarci attorno: Main dans la main è un’opera gravemente carente, dove le manchevolezze e gli errori sono così numerosi, costanti e permeanti da rendere il film una bolla di sapone che si tiene assieme solo per lo svago di chi si diverte con così poco, e sulla cui precarietà e futilità non vi sono ombre di dubbio. L’opera di Valérie Donzelli vorrebbe essere una commedia frizzante, di costume, a suo modo anche con inserti di una certa sofisticatezza, ma la verità è che Main dans la main non è mai all’altezza del compito. Più che di difetti, si potrebbe qui parlare di una sorta di “peccato originale”, da rintracciarsi nello statuto di verosimiglianza che il film vorrebbe avere ma manca, lanciando gravi ombre sull’operato registico. Difatti il film è totalmente annichilito da una sospensione dell’incredulità non ottemperata con lo spettatore: al presentarsi di alcune coordinate di verosimiglianza queste vengono infrante decine di volte, facendo tracimare il film prima nel grottesco e poi nel ridicolo. La narrazione non ha un rigore interno e tutto è finto: il bacio fra i due protagonisti avviene senza senso, come pure è spiegato il sortilegio che li avvinghia. Gli snodi narrativi non hanno una base di ragionevolezza, i personaggi di contorno si affannano a riempire buchi creandone degli altri. Vi sono malattie create ad hoc, prove che legano il mondo proletario di Joachim a quello altolocato di Hélène con una banalità atavica disarmante, simmetrie antagoniste e poi affettive prevedibili, inclinazioni omosessuali che divengono etero in maniera incomprensibile e – soprattutto – la veridicità dell’opera è costantemente minata da escamotage e trovate non plausibili.
Se la prevedibilità congenita in opere simili fa comprendere allo spettatore sin dal principio che Hélène e Joachim si innamoreranno nonostante la loro lontananza sociale, caratteriale e di orientamenti sessuali, a siffatti film spetta il compito di accompagnare lo spettatore a prevedibili conclusioni con garbo, maestria, allegria e fascinazione. Tutto ciò manca, con l’aggiunta di una deriva sdolcinata e stucchevole. L’esito è disarmante e fastidioso.