Saint Maude

di Rose Glass

Dietro la cortina della radicalizzazione religiosa, l’esordiente Rose Glass costruisce un horror kafkiano che esplora in profondità la solitudine e le derive dell’individuo nella società contemporanea.

Saint Maude - recensione film

Una cupa stanza d’ospedale. A pochi metri dal corpo esanime di una paziente, una giovane infermiera siede a terra in un angolo con le mani insanguinate, in evidente stato di shock. Alzando lo sguardo, la ragazza scorge una blatta sul soffitto e il suo volto si illumina, come a significare una sorta di rivelazione. Con questa scena epifanica che preannuncia una metamorfosi si apre Saint Maud, primo lungometraggio della giovane Rose Glass, presentato al Toronto International Film Festival nel 2019, ma rimasto a lungo inaccessibile al pubblico per cause ormai ben note.

Horror psicologico che testimonia una rara sensibilità e finezza nel gestire la narrazione cinematografica, Saint Maud si presenta come un oscuro racconto agiografico, una parabola contemporanea distorta, dalla quale emergono immagini angosciose e perturbanti. Adottando per la maggior parte della pellicola il punto di vista della protagonista, Glass sembra volerci condurre sulla soglia tra mistico e patologico, riservandosi il diritto di spostare l’ago della bussola unicamente nella sorprendente manciata di fotogrammi finali, dove viene rivelata la cruda verità che si cela dietro al martirio di Maud (Morfydd Clark).
Il trauma dell’incipit funge da spartiacque nella vita della giovane infermiera, che sveste l’identità di Kate — ragazza ordinaria che vive in una non meglio specificata cittadina balneare britannica e lavora presso l’immaginario St Afra’s Hospital — per indossare, convertendosi al cattolicesimo, i panni di Maud, riservata e solitaria badante alla disperata ricerca di un senso da attribuire alla propria esistenza. L’incontro con la paziente Amanda Köhl (Jennifer Ehle), ex-ballerina di successo costretta alla clausura da un linfoma in fase terminale, funge da catalizzatore per la metamorfosi dell’eroina. Le solitudini delle due donne entrano in risonanza creando un gioco di riverberi e riflessi (dinamica che richiama per certi versi le protagoniste di Persona di Bergman).

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Laddove Maud vede in Amanda un’anima smarrita da ricondurre sulla retta via, Amanda è intrigata dalla morigeratezza e dalla sobrietà dell’infermiera. Si contrappongono così da una parte l’ex-ballerina, che, pur essendo intrappolata in un corpo morente, non è disposta a rinunciare al gioco della seduzione e alla propria libido, che soddisfa ricorrendo ai servizi di una sex worker; dall’altra quello di Maud, che sottopone invece il proprio corpo, giovane e in salute a un costante e crescente supplizio della carne. Per Maud, desiderio erotico ed estasi spirituale si sovrappongono: le repentine manifestazioni del divino sono esperienze sensoriali che pervadono il corpo della ragazza, rievocando una celebre scultura del Bernini. Quando Amanda finge di percepire a sua volta la presenza celeste, l’inattesa intimità che viene a crearsi tra le due donne viene fraintesa dall’infermiera, che la sposta sul piano spirituale e vi legge un invito a infrangere i limiti deontologici per salvare l’anima della donna, mettendo così in moto i meccanismi della macchina infernale che condurrà al tragico finale.

Glass sfrutta il tema della radicalizzazione religiosa della protagonista per trattare una problematica ben più universale. Per sua stessa ammissione, il nucleo del film risiede infatti nell’alienazione, nell’estremizzazione di una mente che si trova, in seguito a un evento traumatico, improvvisamente incapace di interagire con il mondo che la circonda. Il percorso di Maud è disseminato di continui tentativi di sottrarsi alla propria solitudine, di ritrovare spazio all’interno di una società indifferente che respinge ogni suo slancio d’integrazione in maniera sempre più violenta, con contraccolpi che vanno dall’indifferenza al pubblico scherno, dal biasimo fino allo stupro. Preda di episodi psicotici sempre più deliranti e devastanti, Maud raggiunge così il punto di non ritorno, sprofondando in un turbine (immagine ricorrente all’interno della pellicola) di misticismo illusorio che sfocia nella violenza dell’epilogo e nell’ordalia autoinflitta.

Saint Maud è un moderno racconto kafkiano al femminile che vuole esplorare le zone d’ombra in cui può smarrirsi una mente fragile e suggestionabile, soprattutto se messa di fronte a un corpo sociale insensibile alle ferite e all’isolamento individuali, a un mondo in cui, per una perturbante assenza di logiche empatiche, il processo di alienazione diventa irreversibile e ogni tentativo di reintegrarsi è destinato a fallire. Con il suo esordio alla regia, Glass sfrutta l’horror per parlare della società contemporanea e delle sue dinamiche talvolta spietate, mostrandoci come il sonno dell’empatia possa generare mostri.

Autore: Nicolò Comencini
Pubblicato il 08/03/2021
UK 2019
Regia: Rose Glass
Durata: 83 minuti

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