Lumina

di Samuele Sestieri

Lumina recensione Point Blank

Una ragazza nuda su una spiaggia deserta, di un blu elettrico, quando il giorno è ancora da venire oppure è già passato, un punto di blu che pare da notte americana, comunque foriero di smottamenti, deviazioni di senso. La ragazza potrebbe essere la sirena dopo il patto con la strega del mare, le gambe in cambio della voce, dono per dono, prodigi discutibili (presto scopriremo che un dono in effetti le è stato conferito). La ragazza nuda e il rumore del mare, una rete da pesca diventa il suo abito. Potrebbe essere, dunque, una creatura dell’acqua, venire in ogni caso da un altro mondo, da un altro tempo, da altri naufragi. Non è dato saperlo, e in fondo non conta, non è importante. S’incammina con il suo mantello magico. Viandante misteriosa (forse) senza memoria, arriva dall’ignoto e verso l’ignoto si inoltra, seguendo tracce sfuggenti, petrose, cadute, passate, forse immaginarie, di certo sconosciute. Comincia da qui, Lumina di Samuele Sestieri, opera prodotta dallo Studio Ma.Ga. di Pietro Stori e dello stesso Sestieri e che da poco ha iniziato il suo percorso per festival, a cominciare da Rotterdam e Pesaro. Un’altra fiaba, dopo quella di I racconti dell’orso (dove la regia era condivisa con Olmo Amato); una fiaba che si scrive come un documentario intimista, che trova il racconto di formazione tra soglie, passaggi e profondità, toccando il reale e le sue protesi, la luce del giorno e la muta notte di stelle, le paure e gli incubi di una creatura smarrita. La storia del Novecento è custodita nei libri abbandonati in una casa abbandonata di un paese abbandonato, fantasma almeno tanto quanto lo è lei; Mr. Lonely di Bobby Vinton è un’accensione, un presagio, forse un approdo, una rinascita, un miracolo. Una ragazza misteriosa dentro mondi scomparsi in un itinerario tra boschi e macerie, resti di abitato sfinito e oggetti sperduti che sono forme di vita. Il prodigio è che lei dà loro la luce, li riaccende, è la dea Lumina, se possiamo esprimere un qualche potere sul titolo. Così riesce a rianimare un cellulare con tutto l’archivio di vissuto che trattiene, come l’amore (passato?) che lega una giovane coppia, Leonardo e Arianna. Perché sono le vite degli altri, qui, che fanno ritrovare, o forse trovare per la prima volta, il proprio racconto alla protagonista, e, se fosse caduta sulla terra, la forma di relazione tra gli umani che c’erano prima della desolazione che tutto circonda. Ma forse potrebbe anche essere, chissà, il suo sguardo a produrre l’identità, la storia, la verità di quelle esistenze smaterializzate, di quelle immagini immagazzinate in uno smartphone, figure in scorrimento su un display, incantesimi, linguaggi in collisione.
Il cinema del filmmaker romano, classe 1989 (autore anche dei corti Matrioska Danza al tramonto), sembra ancora cercare forme più che strutture, segni più che scritture, presenza più che personaggi, anche se in Lumina (sceneggiato insieme a Pietro Masciullo, mentre montaggio e fotografia sono rispettivamente di Fabio Bobbio e Andrea Sorini, registi anche loro) il raggio si amplia, e la partita tra tempo della narrazione e tempo della visione si articola in modo più ambizioso, più aperto, problematico. I sentieri sono un luogo dell’anima, delle anime. Perché è un film dell’amore Lumina, e forse una traiettoria strana che attraversa il mondo dei vivi e quello dei morti, come un rito di spiriti, cercando le immagini che ricordino, che inventino, che sentano le vite precedenti. Per ritornare infine alle vite che verranno.

Autore: Leonardo Gregorio
Pubblicato il 02/07/2021

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