Sangue Misto

La new wave italiana rivendica la propria appartenenza e realizza un mosaico figlio del suo tempo

Come viene ribadito tre volte tra titoli di testa e di coda, Sangue Misto è un film ideato da Davide Scovazzo. Si tratta di un’antologia di sette episodi in cui altrettanti registi esplorano una città italiana a testa mettendo al centro della narrazione ognuno un’etnia diversa. Il progetto ha avuto una gestazione di anni e una continua evoluzione. Gli stessi autori sono in parte cambiati in corso d’opera. Scovazzo in prima persona si è prodigato per promuovere il progetto con pervicacia e nel frattempo la curiosità e le aspettative sono lievitate enormemente. L’assunto di partenza era senza dubbio accattivante e allo stesso tempo delicato: raccontare il melting pot di un’Italia che si apre al mondo senza scadere nel paternalismo o, peggio ancora, nel razzismo.

Sangue Misto ribadisce fin da subito la propria appartenenza a un periodo storico e una collocazione geografica ben definiti aprendosi su immagini documentarie, o meglio sarebbe dire da ordinario notiziario televisivo, in grado di fungere da premessa alle tensioni sociali che attanagliano il Paese. L’inquietante tema musicale che accompagna i titoli di testa proietta senza indugio lo spettatore in uno stato d’agitazione che trascende il genere orrorifico e pertiene alla nostra quotidianità. Con il primo dei sette episodi, Grandma’s Remedy di Isabella Noseda, la matrice documentaria viene immediatamente abbandonata a favore della favola nera. Protagonista della storia è infatti una bambina di origini africane la cui voce narrante ci descrive il forte legame con la nonna e, dopo la scomparsa di quest’ultima, l’adozione da parte di una coppia torinese. Immagine rimossa. La magia nera, eredità ancestrale della sua terra natia, è l’unica arma con cui la piccola orfanella potrà difendersi dalla violenza degli adulti. Il successivo Sakrifice non fa invece trapelare alcuna compassione verso i più deboli e tutta la poetica di Noseda scema nello sguardo cinico di Raffaele Picchio. In questo secondo capitolo il sovrannaturale è abbandonato a favore della violenza più terrena della criminalità organizzata. Gli ambienti degradati e le torbide atmosfere riportano con facilità alla mente A Serbian Film, ma stavolta la vicenda si svolge alle porte di Roma e vede protagonisti un gruppo di albanesi. L’episodio di Picchio è l’unico a non adottare l’aspect ratio in 16:9 preferendogli ben due formati, il 2.35 e il 4:3 delle anacronistiche VHS. Il terzo capitolo dell’antologia è il più originale, nell’accezione di stravagante, ed anche il più splatter. Mochi - L’ultimo giorno di una cicala giapponese mette in parallelo l’opera lirica della Scala di Milano con il canto delle cicale nipponiche, dette semi. La caleidoscopica raffigurazione del bizzarro ha indubbiamente il suo fascino ma a pesare maggiormente sul lavoro di Paolo Del Fiol sono i limiti tecnici, tanto dell’immagine quanto dell’audio. Il montaggio frammentario, quasi afasico, rende ipnotica la visione ma poco chiara la narrazione. Il quarto tassello di Sangue Misto è quello diretto dallo stesso Scovazzo, Rigorosamente dissanguati da vivi, per tematica affine all’episodio di Picchio ma assai distante nella messa in scena. Alla fredda rappresentazione del reale del primo, il secondo contrappone una Genova colorata e popolata da freak. Un mondo sotterraneo ed euforico che recupera le calorie disperse nel ballo nutrendosi di kebab. Tra i vari locali disseminati per i vicoli del capoluogo ligure ne esiste uno in particolare in grado di produrre carne in estrema economia. Gli arabi che lo gestiscono non sono per niente dissimili dai texani di Non aprite quella porta. Abbandonate le maschere grottesche di Scovazzo, si passa ai volti rudi di Gu. Chi guarda per la prima volta un lavoro di Lorenzo Lepori si trova di fronte una realizzazione cruda agli antipodi della dottrina del bello cinematografico e per questo può cadere nell’errore di considerarlo amatoriale. In verità, la forma si adatta perfettamente al contenuto e Lepori si conferma un narratore dal basso che ha fatto di ciò che altri non considerano all’altezza il suo punto di interesse. Ambientata a Pistoia, la storia che fonde insieme criminalità occidentale e magia cinese ritrova interesse per temi in voga nella cultura popolare degli anni Ottanta. Il sesto episodio, MP3 di Edo Tagliavini, è il più semplice tanto nella vicenda quanto nella sua messa in scena: nei dintorni di Ferrara un eroinomane investe accidentalmente un ragazzo pachistano. Piuttosto che soccorrerlo, preferisce fuggire via dopo avergli sottratto il lettore MP3 del titolo. Poco dopo la vittima, tornata sottoforma di apparizione ectoplasmatica, si vendicherà. Nonostante MP3 non contenga in sé alcun difetto tecnico, la mancanza di incisività del racconto, nella sua estrema elementarità, insinua il sospetto di uno scarso interesse e conseguente sbrigatività da parte del regista all’interno del progetto Sangue Misto. Immagine rimossa. L’antologia si chiude con Veneranda, la transessuale brasiliana a cui si affidano tre amici di Viareggio per festeggiare l’addio al celibato di uno di loro. Se le prostitute vampire al cinema non sono una novità, ciò che limita maggiormente l’episodio di Chiara Natalini è la mancanza di uno sviluppo narrativo oltre l’idea di partenza. La regista, nel dipingere la desolazione della periferia, si diverte però a regalarci un cammeo di Scovazzo nella parte di una drag queen da marciapiede che ha dell’ironico.

Come tutti i film a episodi in cui differenti registi si autoproducono, anche Sangue Misto offre, e a volte soffre, di cambi repentini di registro e sbalzi qualitativi. Se il racconto cinematografico è un percorso più o meno lineare a seconda della riuscita dello stesso, l’horror antologico è più simile a una montagna russa in cui si sale per poi andare improvvisamente giù in picchiata. E poi rifarlo ancora, innumerevoli volte. Ci si può divertire parecchio, a patto che si accetti fin da subito la sua peculiarità. Indubbiamente avrebbe giovato un produttore che avesse tenuto le redini del progetto e garantito maggiore omogeneità al tutto. Purtroppo la storia non si fa con i se e le speranze sono riposte nel futuro. Magari in un seguito meridionale dello stesso perché di fatto, dopo l’uscita di scena del catanese Ricky Caruso, l’Italia di Sangue Misto si è fermata a Roma. D’altronde si sa, l’integrazione è un percorso arduo e alla base del disegno di Scovazzo non c’è tanto quella delle differenti culture quanto un crogiolo di registi dai diversi percorsi ma con una necessità comune, lo sdoganamento del new horror italiano.

Autore: Mattia De Pascali
Pubblicato il 12/09/2017

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