Rewind

di Sasha Neulinger

Racconto tragico e disturbante basato su una reale storia famigliare di plurimi abusi, l'opera di Sasha Neulinger affida all'immagine filmica il compito di portavoce definitivo della verità.

Rewind - recensione film

La telecamera è sempre stata presente nella memoria di Sasha Neulinger: per tutta la sua infanzia il padre non ha mai smesso di trovare un buon motivo per effettuare una ripresa, fossero feste di compleanno, partite di hockey o qualunque occasione per stare insieme ai parenti. D’altra parte non è una pratica comune conservare i ricordi gioiosi di una famiglia in video e fotografie? Ma ciò che sembra una raccolta infinita di sorrisi e battute verso la camera diviene in Rewind la chiave nascosta di una storia vera tragica e disturbante, raccontata dallo stesso Sasha ora adulto, qui protagonista, intervistatore e autore del proprio percorso filmico a ritroso nel tempo.

I nastri video del padre Henry nascondono, come minuscoli indizi di un’indagine, i sintomi impercettibili di un disagio latente. Sasha bambino inizia ad avere strane reazioni, scatti rabbiosi o esagitati verso i genitori e la sorella, il volto infantile deformato da smorfie grottesche e spaventate.  Qualcosa non va chiaramente, né in lui né nei filmati di questa famiglia apparentemente felice che recita la serenità e il divertimento davanti alla camera. Sono dettagli minimi, impossibili da cogliere se non al rallentatore: la carezza furtiva di un parente, uno sguardo abbassato a terra, una risata troppo isterica per essere genuina.  La verità è tutta lì, evidente ma indecifrabile.

Ciò che Rewind rivela riavvolgendo il nastro indietro è una devastante storia di abusi, perpetuata come un gene malefico di generazione in generazione: Sasha abusato come la sorella dai due zii e dal cugino fin dalla più tenera età; il padre e il fratello minore abusati dal fratello maggiore; il cugino stupratore a sua volta abusato da piccolo. Sarà Sasha il primo a spezzare la catena, rivelando le violenze subite e chiedendo giustizia in tribunale. Il suo film è la reiterazione visiva di quella coraggiosa confessione, e nasce dall’urgenza di imprimere su immagine la verità e la denuncia dei fatti, facendo i nomi dei violentatori e descrivendo passo per passo non solo i propri abusi ma anche quelli vissuti dal padre da piccolo.

Da questo punto in poi Rewind trascende ogni giudizio critico, perché il suo obiettivo non è quello di essere un’opera ben fatta né di conquistare lo spettatore, ma semplicemente raccontare ogni cosa nei minimi dettagli, anche a costo di risultare respingente o disturbante, sbattendo la verità sullo schermo per tramandarla di spettatore in spettatore e facendo così dell’immagine filmica l’antidoto all’abuso che tanti bambini violentati portano con sé, diventando spesso da grandi a loro volta pedofili. Perché il padre di Sasha non aveva mai detto una parola su ciò che aveva vissuto nella propria infanzia, arrivando a far interagire con assoluta tranquillità i propri carnefici coi figli piccoli? L’ammissione arriva candida e colma di vergogna: non sapeva di aver subito una violenza sessuale. Non sapeva nemmeno di cosa si trattasse, né che potesse riguardare altri oltre a lui. La soluzione proposta da Rewind al riguardo è semplice: parlare della violenza sessuale, parlane a ogni costo, cercare interlocutori – in questo caso, lo stesso pubblico – abbattere lo stigma del silenzio e dell’omertà.

È importante notare che come Henry padre si mette dietro la telecamera per porre un filtro fra lui e la realtà, filmando ossessivamente senza mai vedere realmente cosa quei filmati nascondevano, Sasha diviene regista per entrare epidermicamente a contatto con quella realtà dolorosa. Rewind è racconto confessionale, nuda rivelazione, ma anche denuncia definitiva, soprattutto del ruolo dello zio Howard, il primo a iniziare il ciclo delle violenze sessuali. Un uomo anziano colpevole di atti atroci, e pur tuttavia oggi persona libera e stimata: e allora, laddove la giustizia non riesca a fare il suo corso, che ci pensi il cinema. D’altra parte, se per Sasha la narrazione della propria storia è la definitiva catarsi da un passato che per primo è stato impresso da una telecamera e oggi torna svelato ancora una volta entro uno schermo, è proprio perché al cinema è qui affidato il ruolo finale, potentissimo e supremo, di farsi portavoce incontrastato del vero anche quando tutti vogliono nasconderlo e reprimerlo. Ora tocca solo agli spettatori saper guardare, e saper ascoltare.

Autore: Veronica Vituzzi
Pubblicato il 24/10/2019
USA 2019
Durata: 87 minuti

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