Sono innamorato di Pippa Bacca

di Simone Manetti

Un viaggio nel viaggio interrotto – e nell’infanzia - della performer Pippa Bacca. Interviste, ricordi, e luoghi per rimettere assieme i pezzi di un messaggio di pace.

Sono innamorato di Pippa bacca recensione

Anche il primo documentario di Simone Manetti – già affermato montatore cinematografico - era una storia femminile sui generis, quella di una modella italiana che dopo una grande delusione d’amore fugge in Thailandia per diventare pluricampionessa di Thai Boxe (Goodbye Darling, I'm Off to Fight, 2016). 
Al suo secondo lungometraggio, Sono innamorato di Pippa Bacca, il regista sceglie una protagonista in grado fin da subito di catalizzare l’attenzione: perché Pippa Bacca è esuberante, radicale, coraggiosa, naïve e insieme tremendamente seria e determinata nella volontà di portare avanti il suo gesto performativo, per molti versi estremo, nel totale rispetto dell’idea ispiratrice. La certezza che offrendo fiducia  non si può che essere ricambiati con altrettanta generosità. E questa totale “apertura” verso l’umanità non è teorica ma reale, pratica senza se e senza ma.  I compromessi, dunque, non esistono.
Lo sottolinea Silvia Moro, l’artista che assieme a lei decise, nel 2008, di dare vita al progetto “Brides on Tour”: due spose in autostop attraverso undici paesi devastati dalla guerra, per portare un messaggio di pace da Milano a Gerusalemme. Slovenia, Croazia, Bosnia, Serbia, Bulgaria, Turchia, Libano, Siria, Egitto, Giordania, Israele.
I vestiti, realizzati per l’occasione, che sono essi stessi oggetto d’arte dove si stratificano simboli sopra il loro essere già simbolo, di purezza e di fertilità. Le scarpe dai tacchi pericolosamente alti, a ribadire la differenza del cammino femminile, (quello delle artiste verso una difficile  meta ma anche  quello femminile tout-court) che nonostante le difficoltà procede paziente senza scoraggiarsi giorno dopo giorno.

Manetti non vuole insistere, a ragione, sulla fine tragica di questo viaggio, che pure pesa idealmente fin dalla prima inquadratura, un a posteriori monolitico, indigeribile, che rende la performance artistica in sé un paradosso in essere. Cosa fare della consapevolezza di questo termine? Un megafono per amplificare la voce della Bacca, la sua missiva di pace e non-violenza – a quanto pare mai scontata, sempre e per sempre da ribadire? Un’occasione, l’ennesima, per riaffermare l’urgenza e l’attualità di questo messaggio? Oppure un monito da subire, un confronto/scontro con una realtà beffarda quanto immutabile, a suggerire la necessità di una presa di coscienza della nostra fallibilità? 
La sfida lanciata dalla Bacca, se riletta alla luce del suo epilogo terribile, solleva inevitabilmente questioni che trascendono l’atto performativo in sé, o forse, sarebbe meglio dire, gli restituiscono definitivamente senso, poiché su un piano – di nuovo – simbolico – alla pace e alla vita, al femminile insomma, viene opposta una violenza (maschile) che non è solo astratta e ideale (le tracce della guerra nei paesi attraversati) ma concreta e specifica (l’assassino della Bacca ha un nome e un cognome).

Lo sguardo del regista non può che arrestarsi di fronte a questi interrogativi che non possono che restare sospesi; preferisce, giustamente, ripartire dal prima per spiegare il dopo, offrendo allo spettatore tasselli preziosissimi per comporre il ritratto vivido e luminoso di una donna che non ha fatto altro se non traslare nella pratica del quotidiano quella che è, in fondo, una filosofia di vita: nessun atto provocatorio, nessuna sterile o arrogante volontà di autoaffermazione fine a se stessa, ma semplicemente il bisogno emotivo, forse etico, prima ancora che artistico, di mostrare (non dimostrare) che l’amore è possibile. In che modo? Compiendo quello che, lungi dall’essere un’avventura frutto di un capriccio imprudente, era un viaggio organizzato con meticolosa attenzione, e le cui tappe prevedevano una serie di azioni performative, filmate dalle stesse protagoniste, pensate per onorare un certo senso, un certo modo dell’essere donna: collezionando sul proprio abito ricami di artigiane locali (Silvia) oppure offrendo alle ostetriche incontrate lungo il cammino una lavanda dei piedi, l’atto cristologico per eccellenza (Pippa). Rituali che (ri)acquistano senso e forza all’interno della corposa e strutturata operazione concettuale delle due performer, punto d’arrivo, in un certo senso, di un percorso artistico maturato nel corso degli anni.

A parlare, nel film, sono soprattutto la madre e le sorelle di Pippa, un piccolo esercito tutto al femminile, fortemente coeso, che raccontano un altro modo di vivere le estati e l’infanzia: su un vecchio furgone in giro per il mondo, e poi a piedi, ininterrottamente, lungo il cammino di Santiago e oltre, e infine – come avrebbe poi scelto di fare la protagonista - in autostop. In questo senso l’operazione di Manetti è cruciale: perché restituisce all’evento il suo contesto, tracciando così la strada, attraverso ricordi e testimonianze, che ha portato Giuseppina Pasqualino di Marineo a diventare la straordinaria Pippa Bacca.

Autore: Arianna Pagliara
Pubblicato il 28/07/2020
Italia, 2019
Durata: 76 minuti

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