Stalking Eva
Joe Verni fa rivivere il giallo italiano scegliendo strade già battute
Bastano pochi minuti di Stalking Eva per farci capire in che universo siamo: una modella, rientrata a casa in taxi, viene brutalmente uccisa con un pugnale e poi viene sfigurata con la gamba di una sedia. Stalking Eva, thriller orrorifico diretto dall’esordiente Joe Verni è ambientato nel mondo della moda e ha come protagonista Eva, una ragazza ucraina dalla bellezza ammaliante, giunta in Italia per cercare di lavorare nel mondo della moda. Per questa sua prima opera Verni attinge a piene mani dal bacino del giallo italiano degli anni Settanta, facendo propria la lezione dei maestri Bava e Argento, richiamati nei momenti che precedono gli omicidi connotati da dinamiche slasher, e nella figura dell’onnipotente assassino, rigorosamente in impermeabile nero e guanti di pelle. Il mondo della moda ritratto da Verni, a richiamare i mondi di Sotto il vestito niente di Carlo Vanzina e di Nude per l’assassino di Andrea Bianchi popolati da ingenue bellezze femminili e uomini opportunisti e senza scrupoli, vuole essere il luogo perfetto per l’esaltazione del corpo della donna come oggetto di desiderio. In una selva oscura di ambienti cosmopoliti e quotidiani, il regista riesce nella creazione di un’atmosfera surreale in cui la normalità viene messa in contrasto al perturbante. Stalking Eva è un omaggio per nostalgici e addetti ai lavori al filone giallo, in cui l’omicidio si fa questione di stile. La successione dei momenti forti costituiti dagli omicidi, curati nei dettagli grazie al lavoro di Sergio Stivaletti sono il clou dell’azione che lo spettatore attende. L’uso di armi bianche sempre preferite alle armi da fuoco, la stasi sui corpi morenti e l’abbondanza di sangue sono gli strumenti che permettono l’identificazione dello spettatore, testimone volontario che sadicamente vuole vedere il personaggio gettarsi nelle situazioni a maggior rischio.
Il thriller di Joe Verni, però, probabilmente per prendere le distanze dai suoi predecessori, minimizza la detective story vera e propria e prova a forzare elementi esoterici, riti occulti e sette segrete che infittiscono il plot narrativo, ma non riescono ad incastrarsi propriamente fra loro. La scelta del regista è quella di sfiorare velatamente le tematiche dello stalking suggerito dal titolo e dello sfruttamento del corpo femminile. La decisione di ambientare la storia nel mondo della moda, luogo ideale per l’estrinsecazione della bellezza del corpo femminile come merce di scambio, sembra avere l’obiettivo di raggiungere un pubblico non solo nazionale. La stessa Eva, ucraina giunta in Italia, rientra in una politica di mondializzazione già presente nel filone giallo e ripresa da Verni. Il regista si concentra soprattutto sul concetto di body horror e con Stalking Eva riesce a portare sullo schermo (ed è, di questi tempi, un evento raro per il cinema italiano) l’intercambiabilità tra eros e thanatos, e l’atto di uccidere come atto del possedere e sua negazione. Tranciando una gola e penetrando le carni con la lama, l’assassino reclama il possesso del corpo (femminile, ovviamente), ma finisce invece per perderlo del tutto. È l’omicidio che diventa questione di stile; il mostro si trasforma in artista le cui opere (o performance) sono i suoi efferati delitti. Con Stalking Eva, Verni dimostra di saper padroneggiare bene il contenitore del giallo italiano e realizza un film allineato con i tópoi del genere a tal punto da rifiutare una possibile ricerca della novità e dell’innovazione. Se nel giallo degli anni Settanta, il corpo lacerato, sanguinante e scomposto costituiva la metafora di un soggetto e di un corpo sociale in disintegrazione, in Stalking Eva l’orrore e gli stati di lesione, sottomissione e morte non trovano alcun collocamento concettuale se non quello nostalgico, fornendo al pubblico un buon prodotto, ma comunque in qualche modo già visto.