Stefano Rosso - L'ultimo romano

Stefano Rosso si è spento il 15 settembre del 2008, i funerali si son svolti nella chiesa di Santa Maria in Trastevere, la sua Trastevere. Stefano Rosso è stato un cantautore, un chitarrista, un cantastorie, un baluardo estremo di una romanità svanita e di una Roma d’altri tempi. Un abietto dei grandi sistemi discografici anche, un mostro d’anti-palcoscenico, mani finissime e calli sui polpastrelli che hanno passato la vita a rincorrere corde tese, ad arpeggiare inseguendo quella voce resa roca dall’esperienza e dal fumo di Buratti, ostinatamente morbide. Una voce mai banale quella del Rosso, intenta a cantare di strade popolari e anime respinte, segregate al margine di una società sempre più gerarchica e classista; 8 Lp per cantare la sua visione, anarchica e rivoluzionaria, un manuale (Finger Picking) per donare la sua sapienza ai suonatori di chitarra (o agli aspiranti tali), qualche sporadica apparizione televisiva, laddove Renzo Arbore si barcamenava alla ricerca di giovani talenti, in un lavoro di scouting indegnamente sostituito dai talent contemporanei.

Stefano Rosso (Rossi all’anagrafe) è un cantautore attivo tra i Settanta e gli Ottanta, in un contesto storico in divenire, scosso dalle intemperanze degli oppressi. Un turbine di cambiamento che lui seppe buttar giù su un pentagramma mentre fuori dalla finestra ancora si spargeva l’odore acre dei lacrimogeni e delle auto bruciate, mentre le grida degli operai e degli studenti si alternavano ancora al silenzio dei nullatenenti, delle prime vittime del miracolo economico. Una storia disonesta, primo album datato 1977, traspone in un’atmosfera che subisce chiari influssi da tutta la tradizione popolare romanesca, il suo grido sommesso di rivolta: Girotondo, Letto 26, Una storia disonesta, conducono il cantautore trasteverino in un vortice di fama e notorietà che forse mai l’interprete si sarebbe augurato.

Simone Avincola, classe 1987, cantautore anch’egli. Un curriculum cosparso senz’altro più di chitarre e accordi che non di metri di pellicola, raccoglie i cocci della conoscenza che il grande pubblico ha di questo straordinario artista, mai realmente adeguata, e firma Stefano Rosso – L’ultimo romano. Più che un documentario biografico sembra un rispettoso omaggio questo, un dono riguardoso nei confronti di chi ha ricevuto meno di ciò che avrebbe meritato. Inizia un lento e imperterrito peregrinare per le vie di Trastevere, tra Via della Scala e Vicolo del Cinque, dove personaggi della vita di Stefano Rosso si affannano nel tratteggiare questo anarchico sbruffone, un simpatico cazzaro, un uomo dalla straordinaria capacità di cantare ciò che osservava. Edoardo De Angelis, Claudio Lolli, Luigi “Grechi” De Gregori (fratello di Francesco) si danno il cambio sullo schermo, aggiungendo ognuno qualcosa non solo sul personaggio ma sulla Roma che lo accolse e si cullò con lui. Avincola parla di un personaggio e del suo contesto, quello straordinario matrimonio che ne fuoriuscì lo aiuta senza dubbio a firmare un’opera piacevole e dal fortissimo sapore di nostalgia, per un bar di San Callisto che non vediamo e viviamo più come quello straordinario luogo che fu, per un Folkstudio che con gli anni è tornata la cantina che fu, priva del coraggio di Giancarlo Cesaroni e dell’irriverente vena artistica di Harold Bradley.

Stefano Rosso – L’ultimo romano è un’opera didattica, a tratti istintiva come tutti gli atti d’amore ma sincera e appassionata. E sopra ogni cosa un’opera nata con e per Stefano Rosso, per la divulgazione delle sue canzoni, affinché un pubblico sempre più vasto arrivi a conoscerlo. In questa direzione corre la decisione di rendere il film visibile a tutti a partire da Aprile, sul sito del suo principale artefice.

Autore: Marco Giacinti
Pubblicato il 20/08/2014

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