Western Stars
Come fosse un sacerdote laico, Bruce Springsteen dà vita ad una liturgia che ci immerge in un passato in grado di frammentare il tempo e abbracciare i suoi fantasmi.
Non poteva essere più struggente di così il film concerto diretto da Thom Zimny e Bruce Springsteen e realizzato in occasione del lancio dell’ultimo album del Boss, a cui bastano un fienile, una band ed un’orchestra di trenta elementi per surriscaldare l’ambiente e provocare pericolosi incendi emotivi.
Western Stars è un’ode musicale all’immaginario statunitense, durante la quale Springsteen ci prende per mano e ci conduce tra i fantasmi di un’esistenza che sembra aver vissuto mille vite. Le canzoni del nuovo album consentono al cantautore di assumere diverse identità e di vestire i panni di uno stunt-man ferito, di un cavaliere in erba che cerca di curare il suo cuore spezzato allevando cavalli, e di un cowboy che rimembra il proprio passato. Ma, soprattutto, Springsteen trova aspetti di sé stesso in ognuno dei personaggi raccontati, immergendoci in un’atmosfera di intimità che si avvale anche della collaborazione della moglie da una vita, Patti Scialfa.
Ne conseguono una seduta psicanalitica e una confessione in prima persona a cuore aperto, struggente proprio perché basata su semplici e magmatiche verità che abbracciano l’amore, la famiglia, la solitudine, l’amicizia e la libertà. Springsteen afferra il volante della sua macchina e inizia un viaggio lungo una vita intera. Ogni canzone è accompagnata da immagini tipiche della cultura americana che strappano il tessuto narrativo e aprono squarci sul tempo passato. In tal senso, assistere a Western Stars è come viaggiare in epoche diverse dalla nostra e trovarvi frammenti della propria identità: come fosse un sacerdote laico, il Boss inserisce filmati d’archivio, facendoli dialogare con la sua orchestra e dando vita ad un percorso mistico che inneggia alla vita e al potere mitopoietico delle narrazioni orali.
La ballata nel buio è, ovviamente, costellata da fantasmi e spettri che rimettono in gioco i nostri fallimenti, i sensi di colpa e le occasioni perse. Probabilmente, tutte queste deviazioni mentali non appartengono al tessuto narrativo di un film che, però, è in grado di chiamarle e di suggerircele. In questo straordinario dialogo con il fuori campo e con il non detto risiede il potere trascendentale di Western Stars. Nella storia della ragazza del New Jersey che ha ridotto il nostro cuore a pezzi è impossibile non trovare una parte di un passato che ci ha costretti alla fuga a bordo di un’auto che continua a macinare chilometri su chilometri, in attesa di giungere a casa. Probabilmente, però, non esiste nemmeno una vera casa ma soltanto attimi durante i quali riflettere su tutto ciò che abbiamo perso e che non c’è più, ma che continua a far sentire la sua presenza dall’aldilà.
Ciò che rimane di questa ballata sono gli scarti e gli imprevisti, l’ampiezza e la profondità della casualità, la vertigine degli attimi da cogliere. Perché, se una casa non esiste più, è ancora possibile danzare sotto le stelle del nostro destino e lasciarsi andare a un viaggio immaginario che potrebbe rapirci senza riportarci indietro. Oz non è mai stato a tal punto struggente e privo di steccati come in questo Western Stars, che offre il proprio corpo a qualsiasi lettura possibile.