Tomba del tuffatore
La terra suona e lo sguardo agonizza nella bellezza del territorio della costiera
La sperimentazione nel campo del documentario italiano, da anni, sta dirigendo le menti creative dei nostri cineasti aprendo strade che nel cinema mainstream nazionale non si riescono a percorrere. L’adesione a questo movimento sotterraneo sono sempre maggiori e maggiore è il peso che questo cinema dal basso inizia ad assumere. Cinema della memoria pesonale, cinema della memoria collettiva, cinema della sperimentazione audiovisiva, cinema contemplativo, mutevole ed espanso, sono molteplici le direttive assunte dal movimento, trasversale e libero.
Il duo registico composto da Yang Cheng e Federico Francioni costruisce e narra l’evoluzione, agonizzante, della costiera amalfitana. Dalla tomba del tuffatore, manufatto di arte funeraria pre cristiano, al bus turistico che si muove ancheggiando sui precipizi, lo spazio ed il tempo della civiltà si muove in avanti creando uno spaccato dentro al quale lo sguardo vive della bellezza naturale circoscritta dall’inquadratura, e morendo dentro alla distanza mortifera che separa la decadenza e la scomparsa di un tempo andato, di una civiltà museale. L’ossimoro che si viene a creare tra il passato ed il presente è una magnifica ed armonica estasi audiovisiva, dove la terra parla attraverso i suoi rumori, implode ed esplode, tra voci, tuffi, sciabordii d’acqua, fuochi d’artificio, parlando un idioma turistico, una lingua viva dentro ad un tempo morto. La massificazione violenta di un tempo musealizzato, un principio di agonia pari a quello intellettualizzato e concettualizzato da Austerlitz di Loznitza, o nei movimenti elefantiaci, mostruosi, di Dario Bacis in Abacuc. La Tomba del tuffatore è un documentario che esplora, tra la bellezza del quadro e della composizione, uno scarto mortifero, che non teme di diventare astratto, concedendosi lo spazio di riassumere il reale dentro ad una forma pittorica in trapasso. Sospeso, come quel tuffatore tratteggiato nell’effige, che ha oramai preso il volo e che sta cadendo, né vivo né morto, ma che continua a vivere in una sospensione di tempo dentro ad un significato che non si esaurisce, un enunciato oramai costruito, espletato, ma un senso ancora non raggiunto, cristallizzato in un presente che si genera dalla sottrazzione del tempo trascorso e del divenire, in un’effige di un tempo morto. La vita biologica e la vita marmorea che si confrontano, ed in questo scarto ciò che rimane è la terra, la costiera, l’erosione delle onde, e se la costruzione dell’uomo può essere dallo stesso cancellata (la demolizione del mostro architettonico nel finale ne è la prova), la nube che dalla deflagrazione viene creata non può nulla contro il mare e contro la falesia, che lì rimangono, dentro ad una teca audiovisiva in grado di contenerne intatta la bellezza, dentro ad un museo che, tra un idioma straniero, riesce a creare la distanza ricordando all’uomo la sua caducità al loro confronto.