Transparent - Quarta stagione
Con questa quarta stagione Jill Soloway espande l’universo narrativo e tematico della serie, facendo del confronto fra transizione e tradizione un nuovo terreno di riscoperta dei personaggi.
Sono passati ormai tre anni da quando Morton Pfefferman si presentò alla sua famiglia come Maura e tre stagioni televisive dall’incontro fra Jill Soloway e Amazon Studios. Il tempo ha dato modo al personaggio di intraprendere e portare avanti il suo percorso di transizione, e alla regista di indagarne accortamente i processi e le ripercussioni sugli altri membri della famiglia. Forte della collaborazione di un solido apparato creativo (Andrea Arnold firma la regia di un episodio anche in questa quarta stagione) e di un secondo (riuscitissimo) progetto televisivo con Amazon Video, I Love Dick, la Soloway ci propone un quarto volume del suo Transparent, in perfetta continuità con i precedenti ma con, al contempo, un’evidente intenzione di espansione narrativa e tematica.
Al centro della serie vi è sempre stato l’impegno a descrivere la sessualità nei termini di identità sessuale e quindi non come qualcosa di compatto o (pre)acquisito una volta per tutte quanto piuttosto come un continuo costruendo a partire da una realtà sfaccettata e fluida. Prima con Maura e poi, man mano, con gli altri membri della famiglia, la scrittura, sempre affettuosa ed ironica nei riguardi dei propri personaggi, ha lavorato sulla diversificazione, sulla curiosità, sulle fisicità non convenzionali, sulla dinamicità nel presentarci le loro rispettive quête di identità.
Già da tempo Transparent era diventato, per questo, anche e soprattutto il meraviglioso ritratto di una famiglia di cui ci vengono narrate, passo dopo passo, le abitudini, le vicissitudini, le storie, la Storia, fino a dar vita a una piccola cosmologia privata dei Pfefferman: scaviamo sempre più a fondo nei rapporti fra i tre fratelli, fra i genitori, fra la madre e i figli, fra moppa e figli attraverso il filtro prismatico della transizione.
Non sorprende, a questo punto, che l’approfondimento della nuova stagione venga fatto in direzione delle radici culturali e del passato più o meno prossimo dei protagonisti. Quella portata avanti dalla Soloway è, infatti, una narrazione composita e complessa che non riduce il discorso sull’identità sessuale alla sola sessualità ma lo lega saldamente all’identità familiare, storica e culturale fornendoci un ritratto tout court dei suoi personaggi. I diversi aspetti sono abilmente posti in risonanza fra di loro nel fare, in particolare modo per Maura e Ali (una sempre bravissima Gaby Hoffmann), dell’ascolto più attento e libero del proprio corpo anche l’ascolto delle proprie origini. La quarta stagione parla, allora, di passato e lo reintegra al percorso formativo dei personaggi: la scoperta degli scorsi anni diventa allora una riscoperta, un ritrovamento, una rielaborazione. L’incontro col padre per Maura, lo stupro finalmente confessato per Shelly, il contatto quanto mai ravvicinato con le proprie origini ebraiche trascurate per Ali, la metabolizzazione della relazione con Rita per Josh, il riavvicinamento fra Sarah e l’ex marito: ogni personaggio fa per così dire i conti col proprio passato. Decisamente riuscito, in questo senso, il percorso di Shelly (Judith Light) che dal ricoprire un ruolo, per certi versi, più comico passa alla destabilizzante confessione della molestia sessuale subita da ragazza, dopo una splendida metaforizzazione del silenzio che l’ha preceduta nella “maschera” del personaggio fittizio di Mario.
Lo slancio (quasi ossessivo, per certi versi) verso l’interrogazione e la sperimentazione cui la transizione di Maura aveva, volente o nolente, dato il via, si prende, ora, un momento di respiro e sembra voler tornare per certi versi indietro e riflettere su se stesso: il viaggio nella Terra Promessa si fa facile metafora ma anche efficace espediente di sospensione e auto-riflessione.
Se lo show ha sempre giocato, in fondo, su binomi quali dinamico/statico, inesplorato/comfort zone, estraneità/familiarità anche e soprattutto all’interno del contesto familiare, la scelta è stata, stavolta, quella di privilegiare una particolare declinazione di queste polarità e confrontare, quindi, ancor più apertamente il concetto di transizione con quello di tradizione, per indagarne tutte le risonanze e implicazioni. In tutta risposta Transparent non si limita alla classica impossibilità di resuscitare il passato, del “tornare indietro”, ma non esita a fare, insomma, di questo passato l’ennesimo terreno di prova, scoperta e riappropriazione dell’identità dei personaggi. Anche in senso più lato, è più che altro la maternità a essere raccontata ed esplorata nelle diverse declinazioni quali Terra Madre, di madre Shelly e di moppa, mentre la figura del padre è ancora una volta sfuggente con un nonno Pfefferman che si è costruito una vita e una famiglia altrove (ironicamente molto meno disfunzionale di quella che conosciamo), come a voler consolidare la direzione della transizione intrapresa da Maura.
Non bisogna trascurare, poi, il fatto che il decentramento progressivo operato nel corso delle stagioni sembra poter trasformare una serie come Transparent, che rimane fra le prime ad aver portato all’attenzione mainstream un personaggio transgender, in un discorso che si potrebbe definire “post-trans” nel senso che non fa più della sessualità di Maura il centro del proprio discorso. Il fatto che la transizione di Maura venga trattata sempre più come una delle tante sfaccettature della famiglia Pfefferman fa parte di una mirabile intenzione di normalizzazione (che non è in nessun modo una riduzione) del personaggio al pari di quella portata avanti per le diverse declinazioni della sfera sessuale nel corso delle varie stagioni.
Jill Soloway si dimostra ancora una volta capacissima di armonizzare temi e domande ricorrenti ma mai per questo ripetitivi e personaggi vivissimi. La serie è stata rinnovata per una quinta stagione dopo quello che sembra a tutti gli effetti un lieto fine con Maura che riesce finalmente a concedersi un momento di serenità.