Triokala

Storia dei quattro elementi e di un paese con i suoi riti e le sue superstizioni

Acqua, vento, terra, fuoco. Triokala, film d’esordio del regista siciliano Leandro Picarella, è un documentario di contemplazione con un preciso taglio antropologico. Attraverso l’osservazione dei quattro elementi fondamentali, Picarella riesce a raccontare l’identità del paese di Caltabellotta, situato all’estremo sud della Sicilia. Un paese che si estende a quasi mille metri di altezza, e che deve il suo antico nome, Triokala, a tre caratteristiche naturali: la lautezza delle falde acquifere, la fecondità del terreno e il Pizzo di Caltabellotta, un’antica roccaforte che ha misurato la sua inespugnabilità durante la Guerra dei Vespri Siciliani.

Aprendo alle immagini attraverso le parole contenute nel mitico libro di Shuré, I grandi Iniziati, capiamo fin da subito l’importanza dei fattori ambientali per l’etnografia del piccolo paese siciliano, acqua e fuoco, ci vengono presentati come doni di cui l’uomo può disporre a suo piacimento. Il doppio livello che si costruisce tra realtà e superstizione popolare è il vero fulcro dell’intera opera. Da un lato ci viene presentato un paese attraverso uno sguardo contemplativo, legato all’osservazione di una realtà che si muove in sincronia alla liturgica preparazione di una festività religiosa, e che si conclude con una processione mariana e con il falò in piazza di un pupazzo di paglia dalle fattezze del demonio; dall’altra lo sguardo intercetta la superstizione dei suoi abitanti, i rimedi curativi degli anziani, le preghiere delle donne. Il tutto viene narrato attraverso i suoni, i rumori, gli sguardi, i primi e primissimi piani che non necessitano di nessuna argomentazione drammaturgica, nessun fine irreale o finzionale - anche se con l’intenzione di crearlo - che stabilisca una priorità alla rappresentazione. Solo la realtà a raccontare - purchè magica - a descrivere l’habitat di una credenza condivisa. E’ importante riconoscere come Triokala si fiancheggi a diversi titoli documentari che negli ultimi anni sono stati presentati in diversi festival, nazionali ed internazionali, riscuotendo un notevole successo e gradimento condiviso. E’ importante riconoscere come la tendenza allo sguardo verso il reale dei giovani documentaristi sempre più si orienta verso le proprie radici. Radici storiche di una regione (Anapeson), sociali ed antropologiche (La cacciata del Malvento, Liberami), geografiche (Brasimone), personali ed affettive (Saro, Le mariage, La bella Virginia al bagno). Come se l’istinto della nuova gioventù documentarista tendesse a voltare l’obiettivo verso se stessi, rivolgendo il focus sulla narrazione del partecipante ad un livello laboratoriale, partire quindi da un territorio conosciuto, verso quei lidi che confinano con il ricordo, con l’appartenenza ad una realtà che per primi loro riconoscono come vera ed autentica. E da questa nuova tendenza introspettiva che derivano dei ritratti che fanno riemergere le particolarità e le unicità della cultura e del territorio italiano. Soggetto a rituali che nelle periferie del nostro Paese, nelle sue campagne, non vengono dimenticati, feste e liturgie che proseguono nei secoli e che riescono a dare un’identità forte di carattere nazionale, riuscendo a definire una geografia del culto della credenza e della ritualistica popolare. E’ interessante riconoscere come queste voci molto spesso nascono da un’unica via di linguaggio, un nome che su tutte queste giovani generazioni ha un peso solido ed evocativo, come un padre – o un nonno – che ispira e suggerisce attraverso il suo cinema questi linguaggi che hanno il reale come materia prima: stiamo parlando ovviamente di Piavoli. Non a caso Triokala è stato realizzato sia dal CSC (come produttore) che attraverso la partecipazione, perlopiù tecnica, della Zefiro Film, casa di produzione audiovisiva del regista lombardo e di suo figlio.

Un cinema che proviene da un’altra profondità, realizzato con il sostegno della Natura, attraverso la lente oggettiva dell’osservazione. I quattro elementi naturali a fare da collante descrittivo, di un paese e delle sue origini. La storia che diventa tracciato personale, il proprio territorio d’appartenenza, dove basta una videocamera digitale e la voglia di raccontare una realtà dentro la quale riconoscersi.

Autore: Giorgio Sedona
Pubblicato il 04/02/2017

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