Venezia 72 / Per amor vostro
La morale come atto di tenerezza: Gaudino accarezza, sente, ama la sua Anna, rincorrendola in una Napoli mentale e mai vista.
“Io ho amato e amo tutt’ora Anna” commenta Giuseppe Gaudino in conferenza stampa e forse bisognerebbe partire proprio da qui. Il suo ultimo film è, prima di ogni altra cosa, una grande storia d’amore tra regista e personaggio, fra il tenero, commosso sguardo dietro la camera e la creatura adorata cui dà corpo, anima e cuore Valeria Golino.
Per Amor Vostro accarezza, danza, gioca con la sua protagonista, memore di altre Anne, di altri cinema, di altre infinite, rocambolesche visioni. Con ardore rosselliniano, Gaudino fa della morale una questione di tenerezza, dello sguardo un atto di pietas e compassione cristiana (regista e personaggio sentono, subiscono, raccolgono insieme i dolori del mondo, senza scavalcamenti, senza imposizioni, ma sullo stesso duttile orizzonte, sul medesimo, immanente piano). Non c’è un’istante in cui il film non esalti i contrasti della natura di Anna, le contraddizioni della sua esistenza, la lucidità che inumidisce i suoi occhi, scoprendo in queste antinomie la bellezza stessa della sua persona.
Perché cos’è Per Amor Vostro se non il cammino tortuoso di una santa, la selva oscura in cui si insidiano peccati e strali di una realtà ingiuriosa? Per tornare a vivere bisogna un po’ morire, riscoprendo sempre il proprio passato, la propria memoria, la propria identità. Chi è e chi era dunque Anna?
Anna era una bimba forte, coraggiosa e fiera. Anna volava in un mondo a colori. Anna da grande lascia che le cose siano, permette che tutto accada in un presente in bianco e nero. Anna deve ritrovare la passione di vivere. Anna vuole essere amata perché lei sa cosa significhi voler bene. Anna patisce i peccati del mondo, come una figura cristica in attesa di una nuova vita. Anna dona aiuto senza ricevere nulla in cambio (la dimensione gratuita, eccedente, incondizionata del dono). Anna sa ascoltare, elargire grazia, ma Anna non sa, Anna non può, amar se stessa. Anna parla la lingua dei segni e traduce le canzoni in gesti per il figlio sordo. Eppure Anna non ha parole per sé.
Gaudino la immerge, passo dopo passo, in una Napoli sporca, nociva e mai vista, che tanto somiglia a un girone infernale di dantesca memoria. Una Napoli grigia e sfocata che pare una nebulosa, dove la terra può astrarre se stessa, dove i corpi perdono la loro fisicità e i territori si trasformano in vie crucis del dolore. L’operazione di Gaudino è quella di inscenare, dar corpo e forma a un’attitudine umana, a un modo di sentire e di vedere, a un’emozione impalpabile con cui far pulsare lo schermo (il set del film è la mente stessa della donna, una soggettiva che si fa mondo).
In fondo Per amor vostro è un film su lingue (il napoletano, la lingua dei segni) e moltiplicazione di linguaggi che possano dire, formulare, reinventare un’emozione. Dal bianco e nero dal sapor neorealista al colore dei sogni e del ricordo (che tanto ricorda i sussurri felliniani) fino a squarci surreali e lisergici, momenti in cui l’immagine sembra liquefarsi per esplodere con una potenza, una libertà, una vitalità rarissime nel nostro cinema.
Deliri videoartistici, attimi di cinema espanso che si inglobano perfettamente nella struttura del film, restituendogli una sorta di cadenza emozionale. La realtà deve essere ritrattata, reinventata, traslata per poterla vedere veramente: bisogna che sia filtrata fino a farsi miraggio, ipotesi allucinatoria, suggestione onirica: come non pensare stavolta alle immagini sperimentali del gigantesco Zbigniew Rybczy?ski, alle follie duchampiane dell’invisibile Simone Lecca o alle derive svankmajeriane dell’immagine?
In questo musical della memoria la Golino è un Cerbero contemporaneo, custode del ricordo e del tempo, in quella città eterna che è poi la sua psiche. Eppure non si tratta di un puzzle, di un collage/pastiche privo d’identità, ma di un corpo unico che incanala tutta la sua struggente, oceanica dolcezza in un volto. Volto che, mentre osserva una tempesta colorata, parte per un viaggio, seguendo tutti i dettami della parabola cristiana, fino al dissestamento miracolistico della realtà. Bisogna morire per rinascere, si scriveva prima, in una dialettica morte-resurrezione. E allora, oltrepassato il calvario fino al sacrificio finale, non rimarrà spazio che per un miracolo. “Io vedo il buio pure col giorno” dice Anna, cresciuta come una cosa da niente. Eppure c’è una luce in fondo al tunnel, c’è un paradiso terrestre, immanente e bellissimo all’orizzonte, una nuova strada su cui ricominciare a camminare.
Del resto chi è quel “vostro” del titolo se non l’occhio di chi guarda, spera, sente, soffre, e infine ama? E, per amor nostro, torniamo a respirare.