Venezia 72 / In Jackson Heights

Wiseman ci regala un'altra lezione di grande cinema, un nuovo viaggio antropologico che evita ogni schematismo e preconcetto per farsi pura conquista di conoscenza.

Che si tratti di lezioni universitarie, lavoro di polizia, gallerie nazionali o vita di strada, c’è un cinema più “guardato” di quello di Frederick Wiseman? Un cinema così denso di sguardi, di occhi emozionati, arroventati, addormentati, arrabbiati, incuriositi o semplicemente distratti? Difficile immaginare il cinema di questo signore di 85 anni senza ritornare con la mente alle lunghe gallerie di volti in esso custoditi, alle piccole emozioni rubate e restituite in una cornice antropologica così carica di umanità. E del resto come potrebbe essere altrimenti, considerato come questo cinema altro non è che il prodotto di quella stessa curiosità spesso catturata, di quella stessa attenzione e sete di vita. C’è un cinema più curioso di quello di Frederick Wiseman?

Terzo appuntamento dedicato alle comunità urbane dopo Aspen e Belfast, Maine, In Jackson Heights nasce dalla volontà di indagare uno dei quartieri americani più multiculturali e variformi, sede d’eccellenza di quel melting pot da cui nacque la stessa città di New York.

Dentro Jackson Heights abitano poco più di centomila persone per una varietà linguistica che conta 167 idiomi diversi, tracce evidenti di una straordinaria pluralità di culture e tradizioni. A questo centro di attrazione multietnica Wiseman ha dedicato 120 ore di girato, frutto di 9 settimane di lavoro, cui sono seguiti poi 10 mesi di montaggio. Il risultato è un nuovo viaggio nella vita umana, un saggio antropologico che evita ogni schematismo e preconcetto per farsi pura conquista di conoscenza. Armato di una semplice camera Wiseman si perde totalmente per le strade newyorkesi di Jackson Heights, entra nei negozi e nei bar, si sofferma alle bancarelle dei mercati, riprende lezioni di ballo e corsi per taxisti, ruba sguardi distratti ai tanti passanti mentre segue scene di vita quotidiana, frammenti da inserire in una generale cornice capace di parlare unicamente tramite le immagini. Può sembrare inutile sottolinearlo ancora oggi, ma uno dei meriti maggiori di questo cinema è la sua capacità di vivere e comunicare ed analizzare socialmente il mondo solo attraverso il montaggio razionale e illuminato di immagini. Come in precedenza anche In Jackson Heights si nutre di questo metodo di lavoro, bilanciamento perfetto di antropologia e sentimento, analisi sociale e curiosità famelica per la vita di tutti i giorni.

All’interno delle sue tre ore di durata, In Jackson Heights intercetta nei suoi primi momenti il lavoro delle istituzioni governative attive sul territorio, ma è evidente come l’interesse di Wiseman si concentri su altro. Il suo viaggio di scoperta all’interno del quartiere si sposta infatti su altro e intercetta tre diversi filoni, dalle cui sovrapposizioni emerge la capacità umana di riunirsi e vivere come gruppo sociale, aiutandosi e supportandosi a vicenda in organizzazioni autonome e solidali.

Il primo punto di interesse è quello dei diritti civili e in particolare delle lotte LGBT che si svolgono nel quartiere, sede di una parata annuale fondata da quello che è oggi il consigliere comunale. All’interno di queste scene assistiamo all’associazionismo spontaneo di persone omosessuali e transgender, impegnate a confrontarsi riguardo la loro vita nel quartiere e le possibilità di migliorare la propria azione associativa.

Il secondo focus riguarda invece la comunità di piccoli negozianti messi alle strette dalle manovre politico/economiche delle catene commerciali interessate al quartiere. Il rischio infatti è che uno dopo l’altro queste attività siano costrette a chiudere, lasciando le strade a portata di una speculazione che avrebbe ricadute devastanti sulla tenuta sociale del quartiere e sulla sua identità.

Infine il terzo punto si concentra su un gruppo di sostegno dedicato agli immigrati irregolari, a tutti coloro che sono in attesa di regolarizzare la propria situazione e necessitano di un luogo in cui trovare consiglio o semplicemente possibilità di un confronto. Come dovremmo tenere ben presente in questi giorni, ogni storia di immigrazione è infatti una storia di dolore e sacrificio che necessità di un contatto umano per essere superata.

Diritti civili, sicurezza economica e integrazione, piani sociali che si intersecano in un sovrapporsi di esperienze e necessità, attorno alle quali ruotano poi le comunità religiose (cristiane, ebraiche, mussulmane e hare krishna, Wiseman ce le mostra tutte) che polarizzano nelle loro strutture molte di queste associazioni. Il risultato di questo percorso è uno studio di grande profondità e logica sulle strutture che permettono ai cittadini di Jackson Heights di non cadere vittima dell’alienazione e della solitudine atomizzante, troppo spesso conseguenze scontate della vita metropolitana.

Wiseman non ci risparmia certo le tensioni urbane, i rumori aggressivi della città, le sue contraddizioni, ma comunque al centro del quadro domina la capacità degli esseri umani di trovare assieme la parte migliore di loro stessi, quella disposta ad aiutare chi ha bisogno di aiuto, di ascoltare chi ha bisogno di conforto, di rispondere a chi ha bisogno di consigli. Questo e altro è Jackson Heights, attraverso lo sguardo candido ma consapevole di un cineasta meraviglioso. C’è un cinema più limpido e pregno di vita di quello di Frederick Wiseman?

Autore: Matteo Berardini
Pubblicato il 04/09/2015

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