Venezia Impossibile
In una Venezia distopica, tra rivolte e omicidi, Carrer riporta in vita il Doge
In un 1989 distopico, a Venezia regna ancora la figura del Doge, mai sconfitto da Napoleone. La città governata in maniera tirannica, è scossa da una serie di omicidi tra loro collegati. E mentre un gruppo di rivoluzionari si organizza silenziosamente per tentare la rivolta, le indagini vengono affidate a un giovane magistrato figlio di un rivoltoso, ucciso molti anni prima. Venezia Impossibile, primo e fino ad ora unico lungometraggio diretto da William Carrer, qui anche direttore della fotografia, è stato realizzato con il patrocinio della regione Veneto e del comune di Venezia, e ha potuto avvalersi del contributo professionale di numerosi addetti ai lavori, tutti rigorosamente veneti.
Per la sua derivazione letteraria (il film è tratto dall’omonimo romanzo di Marco Toso Borella uscito nel 2006 per Supernova Editore), Venezia impossibile è una sorta di anomalia all’interno del calderone del cinema italiano indipendente. E il tema principale del film, quell’ucronia che vede il Doge ancora regnante sulla città di Venezia, richiama una folta schiera di celebri romanzi tra cui, impossibile non citarli, Fatherland di Robert Harris e La svastica sul sole di Philip K. Dick. Questa forma di nobiltà artistica che segna fin dal principio il film è sicuramente un carattere di forte interesse e appeal, piaceri che però si esauriscono presto nello spettatore. Ad una costruzione tecnica e visiva formalmente corretta, a una qualità dell’immagine, delle musiche e delle riprese di discreta (e forse anche di più) fattura, Carrer e tutti coloro che hanno collaborato a costo zero nella realizzazione del film non riescono a costruire un intreccio che impedisca l’arrivo della noia e degli sbadigli. Realizzare con mezzi praticamente inesistenti un film storico poteva rivelarsi un’arma a doppio taglio, con il rischio più che reale di confezionare una pellicola non all’altezza e adatta solo agli amanti della spazzatura più esilarante, comunque fetta consistente del pubblico odierno italiano. Venezia Impossibile, probabilmente grazie a precise ricerche sulla Storia della città (ad esempio sull\'attività dei vetrai, centrale nel film) e all’avvalersi di consulenze storiche in ambito sociologico e culturale, non si avvicina mai al trash, ma non riesce nemmeno ad abbracciare un pubblico dai gusti più moderati e ortodossi. Il film di Carrer rimane un prodotto di nicchia realizzato da veneti per i veneziani (e per i comunque pochi appassionati della storia cittadina). L’uso del dialetto, la Storia non spiegata ma lasciata sottointesa e quell’irrefrenabile voglia reazionaria nei confronti del governo del Doge, sono di difficile comprensione per un qualsiasi spettatore “forestiero”. Nel lavoro di Carrer si legge una reinterpretazione in chiave storica, o per meglio dire allostorica, di quell’indipendentismo veneto (detto appunto venetismo), mai del tutto sopito definitivamente e che ciclicamente ritorna nelle cronache nazionali. È probabilmente una lettura del film errata o comunque forviata, ma tuttavia l’unica suggerita da un intreccio debole, in cui l’espediente mystery degli omicidi in sequenza e le indagini che seguono non catturano mai e non interessano. Lo sviluppo della trama, costruita nei canonici tre atti, è troppo spesso frammentata da continui flashback storici che distraggono e confondono lo spettatore, disorientato e impossibilitato a riconoscersi nei personaggi, bidimensionali e incapaci di estrinsecare quel pathos e quel sentimento che il film vorrebbe richiamare soprattutto con la riottosità nei confronti del Doge, figura dittatoriale che appare buffa, quasi farsesca, se confrontata ai veri autocrati della Storia (limitandoci nei paragoni al solo Novecento).
Se il cinema di genere italiano può (e la speranza è l’ultima a morire) riportare un po’ di nostro cinema incapace ormai da decenni di distinguersi all’estero, se non in micro festival per addetti ai lavori, al di fuori dei confini nazionali, con Venezia Impossibile, c’è forse un passo indietro. Siamo infatti davanti a un film che fatica a uscire addirittura da una singola regione, italianissima ormai da un secolo ma volenterosa di mantenere, in qualche modo, un carattere di distinzione dal resto del Paese.