Visages, villages
Un film on the road che coglie le figure nel paesaggio ridisegnandole all’interno di una nuova geografia espositiva.
«Il caso è sempre stato il mio miglior assistente» dice Agnès Varda in Visages, villages. E sembra che sia stato proprio il caso, o il destino, a far sì che la regista belga e l’artista JR si incontrassero nel 2016 per iniziare le riprese del film. Lei, da sempre interessata a gettare luce su realtà ai margini, a raccontare e dar voce a chi raccoglie i chicchi di grano rimasti in terra dopo la mietitura (Les glaneurs et la glaneuse) e lui, che restituisce umanità e vita a luoghi degradati o distrutti dal fuoco delle guerre.
Gli occhi fotografati ed esposti (installati) sui muri e sugli edifici di JR sono gli stessi occhi che coglie il cinema della regista. La ricerca di volti e villaggi, due elementi che si fondono, come suggerisce il titolo, o forse sarebbe meglio dire, di volti che abitano il paesaggio, storie semplici e ordinarie, è il motivo che li spinge a partire insieme, percorrendo la Francia, dai paesi del Sud fino alla Normandia. Con lo stesso camioncino che accompagna JR in giro per il mondo, una camera oscura portatile che stampa in cinque secondi giganteschi ritratti in bianco e nero, i due si spostano da una cittadina all’altra come uno spettacolo itinerante, una carovana che stupisce e coinvolge gli abitanti, i turisti, nelle loro brevi e fugaci soste. Dialogano con le persone, facendosi raccontare aneddoti, episodi del vissuto. Sono ex-minatori, operai, allevatori, bambini e camerieri a diventare protagonisti. «Sono gli altri che mi interessano, che mi incuriosiscono, se lasciamo che le persone si confidino, scopriremo dei nuovi paesaggi» dice la regista belga nell’incipit di Les plages d’Agnès.
Il cinema riprende, restituisce in maniera “diretta” queste storie, questi volti mentre le gigantografie attaccate ai muri, alle abitazioni, diventano tracce tangibili e concrete del passaggio, del trascorso, istantanee che segnano la memoria personale e collettiva. Le opere site-specific instaurano un rapporto discorsivo e dialettico con l’ambiente circostante, dove persone comuni, storie semplici diventano “straordinarie”. Il processo di mediazione e ri-mediazione ridefinisce e ridisegna lo spazio enfatizzandone l’eterogeneità, la variabilità e la malleabilità. Visages, villages riflette sulla nuova geografia espositiva, il supporto mediale dell’immagine, fissa e in movimento, esplorando lo spazio interno allo schermo, come finestra sullo spazio di rappresentazione, così come lo spazio circostante, utilizzato in modo da veicolare l’attenzione verso lo spazio che è invece compreso tra schermo e spettatore. Edifici, cisterne e container diventano così i nuovi schermi, media façades che riformulano la triangolazione opera, spettatore e spazio espositivo. Il valore testimoniale del cinema documentario è contrapposto alla natura temporanea, fugace e impermanente delle fotografie, volti che vengono segnati dal trascorrere del tempo, portati via dalla corrente, dall’alta marea. La macchina cerca di cogliere, di fissare nel tempo quell’attimo, «la precisione nel cogliere il momento giusto» dice Agnès sulla tomba di Henri Cartier-Bresson, la spontaneità dei gesti, dettagli, sguardi ed espressioni. Prima ancora dell’occhio della macchina fotografica, è l’occhio umano, l’occhio del cine-diario, dell’animo infantile e ingenuo, spontaneo, a saper a cogliere le nuove figure del paesaggio, volti e villaggi legati indissolubilmente.