Vita Nova
Il documentario di Monte e D'Amore volge l'obiettivo verso l'esperienza reale e personale in una contingenza tra narrazione e vita
Sono molti i documentari che con l’ausilio del piccolo strumento digitale, di quella capacità e di quella sveltezza che il microscopico scopico permette, riescono a narrare l’intimità personale di chi li dirige. La camera stylo di astruchiana memoria si è miniaturizzata, strumento questo che segue di pari passo la micro tecnologia, obiettivo portatile, obiettivo penna, obiettivo trasportabile, lente di china in grado di scrivere per immagini sul diaro della propria esperienza (ed esistenza) personale. Sono molti i (soprattutto) giovani registi che attraverso questo utilizzo cercano, nella capacità specifiche del nuovo mezzo, di raccontarsi. Raccontarsi sulla verità dei fatti, o raccontarsi tramite l’evoluzione di un periodo reale della propria esistenza, raccontarsi tramite questa lente di china, penna scopica in grado di scandagliare l’animo di chi la vuole usare per auto-analizzarsi. Da Sangue di Pippo Delbono a Saro di Enrico Maria Artale, a The Good Intentions di Beatrice Segolini, a Il matrimonio di Paola Salerno, al precedene lavoro di Del Monte, Memorie - Viaggio ad Auschwitz, fino ad arrivare a Cinema Grattacielo di Marco Bertozzi, documentario quest’ultimo che parte da un desiderio personale di narrazione per svolgersi dentro al racconto di uno stabile, di un simbolo, di un microcosmo d’umanità che comprende lo sguardo di chi ne fa parte.
Vita Nova è tutto questo. E’ il racconto per immagini del ciclo vissuto dalla coppia registica per generare un figlio, o figlia, tramite la fecondazione assistita. Ed è qui che si palesa la prima grande differenza rispetto ai precedenti lavori sul tema. Non è, e non vuole essere, una tesi (purché cronachistica nella sua lineare definizione temporale) sulla fecondazione assistita sui generis, è la loro esperienza, unica in quanto personale, ad essere al centro dell’attenzione. Un documentario che procede come un diario intimo che narra i vari passaggi che la coppia affronta, avanzando nei protocolli necessari al corretto svolgimento del trattamento; non c’è freddezza, distacco, analisi, è tutto empaticamente condivisibile, è tutto caldo, reale punto di vista sui sentimenti personali di due esistenze singolari, non è una coppia che affronta il protocollo ma è la coppia (difinizione specifica, due nomi e due cognomi, due storie, due trascorsi, un’unico scopo) che sente la necessità amorevole di procreare. La lente di china non tratteggia una tesi sull’argomento ma è tramite il fatto reale, tramite la realtà delle emozioni che il quadro completo parla e si definisce, raccontando la storia (privata ed unica) di Danilo e Laura. Poniamo ora un secondo punto di vista avulso dal sentimento implicito nell’operazione ed esplicitato nelle immagini, osserviamo ora la creazione come fecondazione assistita e la creazione cinematografica come epifania pre-prodotta. Nelle immagini di Vita Nova è il dubbio, l’imprevedibilità a portare scoramento, l’aver seguito un protocollo senza essere sicuri della riuscita, il provare a far nascere da una previsione calcolata, da quel fattore statistico di prevedibilità, da una dettagliata, scandita e farmacologica operazione di pre-produzione (procreatrice di vita vera e non cinematografica) a suscitare pianto, insicurezza ed infine dolore. Stesso meccanismo dell’epifania cinematografica, prevedibile nelle intenzioni ed imprevedibile nella riuscita, soprattutto se la materia è quella della realtà. Punto di contatto questo che delinea un nuovo orizzonte, nativo e creativo, e con esso un nuovo livello gnoseologico. Vita Nova è una ballata, dolce amorevole dolorosa, ridente e piangente, una canzone composta con le stesse note della vita vissuta, cantata tramite le stesse parole usate quotidianamente per amarsi e rispettarsi, uno nell’altro, come normalmente farebbe una coppia che si ama e che sceglie (tramite il più bel gesto di amore) di procreare una vita che solo dal loro più intimo sentimento corrisposto può nascere.