A Window on the World
Presentato in Onde, il film di Alex Ohman è il sogno di un incontro sotto il cielo di una New York spettrale e deserta.
Boy meets girl.
La storia più antica del mondo.
Girato in super16 mm e fotografato nel fulgido bianco e nero di una Grande Mela uscita dal primo Woody Allen, A Window on the World è il piccolo e prezioso sogno di un anacronismo. Nel film di Alex Ohman il tempo si è fermato nella bolla della crisi economica: un uomo ha lasciato il proprio lavoro a Wall Street, una donna vaga con una vecchia fotocamera analogica. Lui è un corpo pesante, arrogante e scontroso. Lei è leggera e imprevedibile, gentile e curiosa. Lui appartiene al mondo digitale, alla New York degli schermi, del virtuale e della finanza, lei proviene da un altro tempo: ama la pellicola e la materia, ritrova il colore in una camera oscura, cerca l’avventura che spezzi la noia del reale. La sua inquietudine, tutta analogica, le fa percepire il senso del tempo, il sogno di una continuità in un orizzonte di frammenti.
Una bufera di neve confina tutti a casa, mentre lo spettro del disastro è imminente: gli aerei squarciano il cielo, sfiorano i palazzi, sorvolano la città. Nella gravità di un’apocalisse che può incombere da un momento all’altro, queste due solitudini non ricercano altro che un po’ di leggerezza. Come in una favola urbana post-fuori orario, lui e lei, un po’ per caso, si incontrano, si perdono, si ritrovano, passano la notte insieme. Si guardano allo specchio coscienti che dall’altra parte – in un cinema che non esiste più – sarebbero stati proprio una bella coppia. Giocano, lei fa delle smorfie à la Seberg, lui si lascia andare...poi una scheggia: qualcosa si interrompe. Si separano forse per sempre, chi lo sa.
Questo cinema così intimo, situazionale, questo cinema di unità di luoghi e tempi, è assetato di momenti irripetibili, di singole notti e sogni lunghi un giorno. Per una volta, solo una volta, i due protagonisti scorgono sulla strada un mare di possibilità. E provano a viverle, un attimo dopo le perdono, poi si risvegliano con i piedi bagnati da quell’esperienza.
Una storia d’amore, oggi, è in pura potenza, possibilità tra le possibilità, salto nel vuoto, ma soprattutto constatazione impotente di mortalità. Ogni sogno si spegne, nell’istante di un battito di ciglia: Ohman filma il tempo che precede il risveglio, quello dell’erranza e del nomadismo, la sensazione liberatoria di vagabondare in una Manhattan deserta.
Sembra quasi che, nel suo grande sonno innevato, New York sogni una storia d’amore. E l’incontro tra un uomo e una donna si fa materia evanescente: nasce e muore nella notte, mentre tutto il resto si defila, sbilenco, nel mare del tempo.