The Witch
L'esordio folk horror di Robert Eggers si rivela film stratificato e complesso, atipico e mesmerizzante, ove stregoneria ed emancipazione del Femminile formano un tutt’uno.
The Witch è il lungometraggio d’esordio del cineasta Robert Eggers, originario del New England e già attivo come scenografo; il film gli è valso il premio come miglior regista nella categoria “U.S. Dramatic” al Sundance Film Festival nel 2015, oltre a una bella manciata di altri premi. The Witch è il classico film che non ci si aspetta, un horror tra le righe che proprio nel non-visto trova il suo punto di forza; una rarità in tempi come questi, fatti di spaventi facili e film che ormai paiono usciti da catene di montaggio per il loro essere simili gli uni agli altri e conformi a ciò che il pubblico vuole. Proprio gli spettatori hanno riservato la grande sorpresa: la pellicola, che ha avuto un budget di circa tre milioni e mezzo di dollari, ne ha incassati, alla sua uscita nelle sale USA, oltre otto milioni soltanto nel primo weekend. Viene dunque spontaneo chiedersi come e perché un film sostanzialmente ostico, ambientato nella comunità puritana del New England attorno al 1630, parlato nell’inglese dell’epoca e che non si piega a facili concessioni, possa aver riscosso un tale successo presso il pubblico americano, spesso sottovalutato in quanto tacciato di essere un po’ troppo di bocca buona, in special modo quando si parla di orrorifico. Il tam tam legato a The Witch si è diffuso in modo virale, conquistando gli appassionati di mezzo mondo, affascinati e stupefatti da un’opera in tutto e per tutto differente.
The Witch nasce innanzitutto da un profondo e accurato lavoro di ricerca sui testi del tempo di cui parla, svolto da Eggers nell’arco di ben cinque anni: una preparazione meticolosa per un’opera le cui riprese sono durate soltanto venticinque giorni. Il regista e sceneggiatore si è in prima istanza concentrato su di un periodo storico e sociale estremamente preciso, ossia la prima ondata di isteria collettiva da caccia alle streghe che ebbe luogo nel New England dei coloni, circa venticinque anni prima dei famigerati processi di Salem. La narrazione si apre in maniera simbolicamente funzionale e indispensabile alla costruzione filmica, ossia con la cacciata della famiglia del contadino William (Ralph Ineson) dalla comunità di coloni Puritani, con l’accusa di “arroganza presuntuosa”: William contesta le regole della colonia e ne viene allontanato, è dunque, insieme ai suoi famigliari, doppiamente esule; dapprima dalla natìa Inghilterra e ora dalla comunità che la rappresenta. Il nucleo si dirige in prossimità dei boschi, vicino a una Natura che ai tempi veniva percepita come ostile e malefica. Qui si ritrova forse il cardine dell’intera opera, ciò che Eggers voleva manifestare e in cui è riuscito con esiti alquanto brillanti: calare lo spettatore nello spirito di quel tempo, curando ogni minimo dettaglio, trasportandolo nel 17mo secolo per renderlo dimenticante del presente. All’epoca, il fanatismo religioso puritano portava a una superstizione ovvia e radicata, che poneva il Male all’interno dell’ignoto: il bosco diventava culla di essere malvagi poiché era inesplorato, e ogni anomalia naturale veniva attribuita all’opera stregonesca e diabolica. I dialoghi sono presi da resoconti di quel tempo e anche tecnicamente nulla è stato lasciato al caso: il film, infatti, è stato girato nel poco comune formato 1:1.66, per volontà del direttore della fotografia, Jarin Blaschke, al fine di dare alle immagini una qualità senza tempo e poter inquadrare in modo completo la maestosità dell’ambiente circostante. Anche l’aspetto dell’illuminazione è stato studiato in modo da collocare il visivo nel passato, con un largo uso di luci naturali.
Trascinato in tutto e per tutto nello spirito di quell’epoca precisa, lo spettatore assiste a ciò che si rivela essere una narrazione stratificata e complessa, seppur celata da una semplicità apparente: il centro del plot è la giovanissima Thomasin (una magnifica Anya Taylor- Joy), figlia di William e Catherine (Kate Dickie), la maggiore di una prole composta da Caleb (Harvey Scrimshaw) e i gemellini Mercy e Jonas, oltre al neonato Samuel, che scompare a inizio film. Si assiste dunque al parallelo tra le regole della comunità colonica originaria e quelle del nucleo famigliare, di ferma credenza Puritana: un sistema religioso in cui Dio è temuto, più che amato, e basato sui concetti di colpa e punizione. La sequenza in cui Caleb, che è solo un bambino, urla definendosi peccatore e dicendo di non meritare pietà mette i brividi ma è, al tempo stesso, tremendamente attuale nel rispecchiare le dinamiche di estremismi teologici più che mai presenti nella società contemporanea, dinamiche che trovano specularità in quelle del nucleo famigliare rappresentato. Thomasin incontra, fin dall’inizio, l’ostilità della madre, nel suo essere difesa dal padre: un sottotesto edipico da non sottovalutare in cui la gelosia verso la figlia giovane che “conquista” la figura paterna si trasforma in accusa vera e propria. Stregoneria, dunque seduzione del Male sotto spoglie femminili: gli eventi inconsueti che hanno luogo alla fattoria, a partire dalla sparizione del piccolo Samuel passando per il raccolto rovinato fino a giungere al sangue che fuoriesce dalla mungitura di una capra vengono, in modo sempre più esplicito, attribuiti a Thomasin e al suo “legame con il Demonio”. Eggers lascia che gli accadimenti si dipanino in modo lento ma inesorabile, con una gradualità che va in crescendo: il sospetto, l’accusa implicita diviene aperta discordia in una delle sequenze più emblematiche, ossia il ritorno di Caleb alla fattoria, dopo un’incursione nel bosco durante la quale è giunto a incontrare la Strega che vi dimora.
Attorno al letto in cui giace il bambino, radicalmente cambiato, “indemoniato” o comunque posseduto, si avvia un turbinoso “j’accuse” verso Thomasin, con i due gemellini in preda all’isteria, che non ricordano le preghiere, e con la madre che giunge a tacciare la giovane di un rapporto incestuoso col fratello minore. La stessa Mercy incolpa la sorella di opere malefiche ma ormai, nel narrato, il germe del dubbio e dell’ambiguità è stato inoculato profondamente: chi è la strega? Oppure, chi sono? Thomasin e i gemelli si accusano a vicenda e l’astio si è ormai accasato nella fattoria. La capra nera, Black Philip, tradizionale simbolo satanico legato al Baphomet, è vista e rappresentata come il portavoce del demonio, che parla in vece del Maligno stesso. L’abilità della scrittura di Eggers risiede proprio nel costruire un clima di assoluta incertezza, nell’infondere dubbi e domande nello spettatore: quella voce può essere il Diavolo oppure una strega ma anche una voce interiore, può essere qualsiasi cosa che loro non conoscono.
La centralità del Femminile e la sua emancipazione sono altra tematica fondamentale del film, forse la più manifesta e importante, in ogni caso fortemente voluta dall’autore: The Witch è un film femminista, in cui la misoginia e l’ignoranza ancora presenti ai giorni nostri – forse ora più che mai – divengono accuse di atti immondi verso una giovane donna che cerca la sua individualità e libertà. Il finale è dirompente, distruttivo e al tempo stesso catartico, a chiudere in modo perfetto il cerchio del narrato. La ribellione verso regole non scritte e fortemente imposte porta alla condanna, e ciò è più che mai tristemente palese nella società odierna: Thomasin è outsider in un mondo ignorante e chiuso, che definisce Male tutto ciò che non conosce.