The Northman
Robert Eggers va berserk, diventa belva, ridefinisce con coraggio la propria traiettoria. Ma basta un grande autore per fare un grande action?
Lo straniante establishing shot in digitale che apre The Northman è programmatico della rottura che i 140 minuti seguenti imporranno alla filmografia del suo autore. Raccordato a quell'altro Atlantico che (rac)chiudeva The Lighthouse, è uno shock: non si ricorda una simile sterzata stilistica tra un film e l'altro da parte di un autore già affermato. Alterando la tecnica di riproduzione del reale (da analogica a digitale – ma non è tutto qui), è il personaggio di Robert Eggers stesso a rimettersi in gioco: ciò che nei primi due film (una pietra miliare, e un seguito altrettanto bello) aveva contribuito a delinearne il posizionamento all'interno del panorama horror e cinematografico contemporaneo, viene ora quasi interamente riscritto. Da valutare se ciò avvenga in bene o in male.
The Northman fa terra bruciata. E' un film-berserker che spegne il lume della ragione, del senso, per recedere allo stato animale: con ritualismo sciamanico, possiede e divora spiritualmente la precedente incarnazione artistica dell'autore. Invano lo spettatore consapevole cercherà le tracce di The Witch, del suo dialogo aperto con l'audiovisivo classico, e dei temi che questo confronto antropologico con il vecchio veicolava. Da sempre interessato a mettere la bestialità maschile a confronto con il Sacro, l'autore avrebbe pure gioco facile nel piegare il superomismo vagamente omoerotico della narrativa nordicista alla sua nuova provocazione: ma il terzo Eggers non desidera sovvertire, né appare interessato a ricodificare l'abusatissimo immaginario di riferimento. Si rivela al negativo, per ciò che non è: non rievocazione, né rielaborazione, né parodia, né destrutturazione.
Se l'autore americano aveva finora lavorato decostruendo, The Northman può dirsi un film di ricostruzione: abbattere le sovrastrutture, e restituire il brutal fantasy norreno alla sua ortodossia. Funzionale dunque la de-shakespearizzazione di Amleth, mitologico principe vichingo strappato alla tragedia umana e restituito alla Fiaba: poco incline a interrogarsi sui teschi dei morti, il protagonista di Skarsgard ricorda allora l'Amleto di Schwarzenegger in Last Action Hero, in missione a petto nudo per riconquistare a mazzate il trono usurpato dallo zio Fjolnir (Bang), vendicare il padre Aurvandill (Hawke) e salvare la madre Gundur (Kidman). Persino la facile messa in discussione dell'eroe abbozzata tramite i personaggi femminili (nell'ormai archetipica diade Lady Macbeth-Fata Turchina) cade nel vuoto: agli abissi che Shakespeare lesse nel folktale di Saxo Grammaticus, Eggers antepone la superficie della composizione plastica quale unica chiave di lettura. Il simbolismo dei film precedenti lascia il posto alla prima opera veramente essoterica dell'autore - dove l'immagine è ciò che è, e nulla si agita al di sotto.
Film-licantropo, The Northman ringhia tra l'abbandono esaltato al baccanale CGI e la tentazione intellettuale di un approccio dialettico alla propria materia. In un periodo in cui autorialità e intrattenimento di massa paiono inconciliabili, vuole farsi avanguardia del compromesso storico: indicare la strada per un nuovo Conan "adulto" – calato nel pop contemporaneo, ma forte di quella serietà filologico-etnografica che l'autore già impose al folk horror. Sintesi improbabile: come conciliare ambizioni miliusiane, se non herzoghiane, con gli attori-fotomodelli, i pettorali depilati, il "realismo" patinato degli accenti buffi? Come possono Apocalypto e Zack Snyder convivere sullo stesso piano? Al suo primo blockbuster, Eggers non trova il modo di aggirare il bivio: e il film che sceglie di fare, è un action per ragazzi.
È qui che si palesano i difetti concreti di The Northman. Collocandosi nel solco di un filone preciso, il film non può sfuggire il confronto critico con i suoi modelli: e in rapporto a questi, ha ben poco di nuovo da offrire. Il viking-revival imposto da Refn risale ormai a quindici anni fa – così come la proposta televisiva di un fantasy gore e "realista" (da cui ricicla perfino le location, tra Islanda e Irlanda del Nord). È vecchia la palette "spenta" della colorazione, la feticizzazione al ralenti dello scontro (300 è del 2007), come anche le armi-upgrade da sbloccare un livello alla volta stile God of War (difficile appellarsi a Joseph Campbell e al "viaggio dell'eroe" di fronte a scene come quella della spada Draugr). Il piano-sequenza d'azione veniva infilato a forza ovunque già nel 2011-2015, e alla sua applicazione "definitiva" al period drama mainstream ha già provveduto The Revenant. Nella riscoperta dei miti ancestrali come nuove IP è battuto anche da Romulus, che peraltro ricorda molto. E lo stesso Amleth, che prima stermina villaggi di innocenti in scene di barbarie che citano Va' e Vedi, poi vira su "non uccido donne e bambini" per recuperare spettatori, è pavidamente indietro sugli antieroi che il pubblico post Game of Thrones ha già mostrato di tollerare.
L'importanza di The Witch e The Lighthouse sta nella loro unicità: ancora oggi rappresentano dei prototipi, oggetti alieni a qualunque proposta loro contemporanea. The Northman no, arriva dopo in ogni sua iniziativa, e pur provandoci non fisserà alcun nuovo standard. È la (giustificata) hybris del Grande Autore, che si approccia all'intrattenimento pop senza un vero sguardo, ritrovandosi a inseguire quanto portato avanti, in sordina, da mestieranti assai meno celebrati. Quel primo establishing di apertura, barchette ondeggianti in un oceano di rendering incompleto, così chiaramente inadeguato eppure piazzato in avvio, un occhio abituato a queste forme di epica cinematografica (Emmerich, Bay – bentornati, a proposito) non l'avrebbe mandato in sala. Piuttosto, avrebbe riscritto la scena: sarà anche cinema stupido, ma c'è una maniera intelligente di girarlo.