Disney? DreamWorks? Studio Ghibli? Quando si è intenti a discutere di film d’animazione è pressoché inevitabile che, in un modo o nell’altro, si finisca, prima o dopo, per andare a disturbare una o più delle suddette grandi firme che, al giorno d’oggi, sono indubbiamente le padrone del mercato per quello che riguarda il discorso universale dell’animazione cinematografica mainstream. Eppure, stavolta, non è questo il caso, e pur andando a toccare il tema dall’animazione cinematografica non ci troviamo affatto di fronte a un’opera prodotta dalle grandi majors summenzionate. Fedele alla linea dei sotteranei, infatti, Zero Zero è sì un lungometraggio d’animazione, ma tutto italiano stavolta, e per lo più di produzione indipendente; non vincolata dunque ad un discorso d’alto budget, promozione e – purtroppo – distribuzione in sala. L’opera in questione è infatti stata diretta e realizzata, con l’ausilio della tecnica 3D, dal nostrano autore Marco Pavone che, già navigato regista e noto disegnatore di videoclip per le più note personalità italiane della scena musicale tra le quali (solo per citarne alcune) Caparezza, Bennato, Le Vibrazioni, firma, con questo lungometraggio, il suo esordio nel mondo del cinema d’animazione.
Un tentativo coraggioso dunque questo, perché tentare di realizzare un lungometraggio animato indipendente in un panorama come quello italiano, piuttosto scarno per quello che riguarda il cinema d’animazione (e a veder bene non solo quello), è operazione piuttosto complicata. E, in effetti, se ci concediamo un attimo di tempo per percorrere a ritroso la storia del cinema d’ animazione nel nostro Belpaese, possiamo senza dubbio riscontrare, e senza difficoltà alcuna, come l’Italia non sia stata (e non è ancora) in grado di vantare un buon binomio quantità/qualità per quello che riguarda il discorso delle produzioni di questa particolare branca cinematografica. In un certo senso potremmo perfino affermare che il lungometraggio animato, nella distribuzione italiana, ha sempre sortito (purtroppo) l’effetto di un piacevole e inaspettato “regalo”, che si presentava solamente di tanto in tanto nel nostro cinema. Un regalo reso possibile, fortunatamente, dalla presenza, ad esempio, di grandi personalità professionali come quella di Enzo D’Alo, sulle cui spalle pesano, praticamente, quasi vent’anni d’animazione italiana distribuita regolarmente in sala, a partire da quello che fu, al secolo, il suo primo straordinario lavoro: La Freccia Azzurra (1996). Una fiaba resa realtà grazie agli sforzi di “Lanterna Magica”, il nostro studio d’animazione tutto italiano, che impiegò quattro anni di sforzi e sacrifici nel tentativo, riuscito, (insieme anche al più mediocre: L’eroe dei due mondi, prodotto nel ’94 dall’Istituto Luce) di restituire al cinema italiano un lungometraggio d’animazione dopo quasi vent’anni d’assenza – un’eternità – Bisognerebbe addirittura scomodare, infatti, l’ormai datato ma sempre metacinematografico: Allegro non troppo, di Bruno Bozzetto, per risalire al precedente lavoro italiano in disegni animati ; classe 1977 – un’eternità, per l’appunto. E’ dunque notizia più che lieta scoprire che nello scarno, ahinoi, panorama dell’animazione italiana, un altro lungometraggio abbia visto finalmente la luce, sebbene, purtroppo, in via del tutto sotterranea e indipendente, e senza alcuna distribuzione ufficiale. Ma del resto, visto il panorama poco sopra riportato, come meravigliarsi d’una simile eventualità?! In un certo senso è sufficiente riflettere a fondo sulle difficoltà intrinseche che il nostro cinema sopporta da anni, per comprendere che in un settore di nicchia (nel contingente italiano) come quello dell’animazione, le avversità risultano purtroppo ancor più paralizzanti.
In questo scenario è dunque ipotizzabile che, se Marco Pavone avesse tentato di attendere una produzione ufficiale o di avvalersi, perlomeno, di una distribuzione estesa sul territorio nazionale, Zero Zero non avrebbe mai visto la luce (o nel migliore dei casi sarebbero passati parecchi anni prima della sua definitiva realizzazione). Tuttavia, fortunatamente, al giorno d’oggi il digitale e i canali sotterranei aprono finalmente quelle strade che, anni addietro, sarebbero state altrimenti impercorribili, rappresentando dunque uno sbocco, seppur contestualmente differente, per delle opere cosiddette underground. Ovviamente questi canali, pur non godendo della visibilità e della velocità del mainstream, riescono comunque a raggiungere, se non altro, una buona fetta di pubblico, sebbene questo processo possa impiegare, a volte, anche degli anni.
Una sorte, questa, che Zero Zero ben conosce: presentato infatti per la prima volta nel lontano 29 novembre 2008, l’opera di Pavone comincia invece girare sul web e a far discutere maggiormente di sé dalla fine del 2011 ad oggi; seguendo in questo senso un iter quasi “classico”, che investe spesso (e malvolentieri) le produzioni indipendenti e low budget, e che i sotterranei conoscono, loro malgrado, fin troppo bene. A questo punto è dunque chiaro che, discutere di Zero Zero a prescindere dalla situazione contingente dell’animazione italiana sarebbe senza dubbio un errore; le semplificazioni narrative, l’intreccio semplice, il doppiaggio a volte sufficiente, sono da attribuirsi più a una necessità produttiva piuttosto che a una mancata brillantezza in fase di produzione, che regala comunque un prodotto di discreto intrattenimento. Lo stesso potrebbe forse dirsi per la scelta di un plot e di un’ambientazione tendente all’horror; ambientazione, tra l’altro, molto ben realizzata e che, se da una parte sembra strizzare l’occhio a The Blair Witch Project dall’altra anticipa di parecchi anni il leitmotiv dell’ormai popolare videogame underground: Slender: The Eight pages.
Una buona notizia dunque per il contesto del cinema d’animazione italiano, con la speranza, inoltre, che la visibilità raggiunta da Zero Zero dia a Marco Pavone la possibilità di realizzare, con maggiori mezzi e opportunità, altri lavori di questo genere, che andrebbero certamente (e finalmente) ad arricchire, con nostro grande piacere, quel settore a oggi così scarno e degente che è il cinema d’animazione italiano.