Little America

La serie Apple Tv+ offre una galleria di piccole storie di un grande paese.

Little America - recensione serie tv apple

Circolava in passato una barzelletta su un italiano in America che acquista dei prodotti e apprende che tutto negli USA, dalle confezioni di patatine di 3-4 chili al succo di frutta in bottiglie da diversi litri, è più grande. L'italiano, allora, dovendo acquistare anche delle supposte decide di farsele spedire dall'Italia.

Sbaglieremmo se pensassimo che Little America, serie antologica disponibile su Apple Tv+ dal 17 gennaio 2020, giochi, fin dal titolo, sul capovolgimento di questo luogo comune. Tutt'altro. Non ci troviamo di fronte a una satira politicamente scorretta come Little Britain. In realtà Little America, creata da Lee Eisenberg, Emily V. Gordon e Kumail Nanjiani (gli ultimi due coppia anche nella vita e autori della commedia rivelazione della passata stagione cinematografica, The Big Sick) partendo da storie vere pubblicate su Epic Magazine, e che vanta, tra i produttori esecutivi, l'Alan Yang creatore con Aziz Ansari di Master of None, punta proprio al racconto degli Stati Uniti quale terra di grandi opportunità. Quattro degli otto episodi di cui è composta questa prima stagione, infatti, narrano di un American Dream duro a morire nella forma classica dell'underdog novel. Una storia già raccontata, certo, anche perché le opportunità, per ovvi motivi, l'America le ha riservate sempre e comunque a generazioni di immigrati, soprattutto europei. Stavolta, però, le storie riguardano minoranze etniche (minoranze soprattutto nell'immaginario collettivo): Indiani, Africani, Cinesi, Messicani.

In The Jaguar (episodio 2) si racconta dell'immigrata irregolare Marisol che diventa campionessa di urban squash. In The Cowboy (episodio 3) la storia emblematica è quella di Iwegbuna Ikeji, che dalla Nigeria (dove da piccolo si innamora dell'America dei cowboy, guardando però uno spaghetti western, Da uomo a uomo di Giulio Petroni) arriva all'Oklahoma, dove diviene Preside della Facoltà di economia dell'Università. In The Baker (episodio 5) troviamo invece Beatrice, proveniente dall'Uganda, che raggiunge la fama grazie ai suoi biscotti. Nel terzo e quinto episodio invece la storia dei protagonisti si sovrappone a quella degli interpreti che, come i personaggi reali di cui vestono i panni, “ce l'hanno fatta”: Conphidance e  Kemiyondo Coutinho. Mentre The Grand Prize Expo Winners (episodio 6) è uno dei racconti più toccanti, per quanto apparentemente non narri nulla di eccezionale: la storia della cinese Ai, morbosamente legata ai figli ma che vedrà l'alba in Alaska, è quella della madre del regista dell'episodio, Tze Chun.
Meno memorabili risultano il kafkiano The Manager (episodio 1) diretto dalla veterana Deepa Mehta, e The Rock (episodio 7), mentre un discorso a parte fanno e meritano The Son (episodio 8), un mélo queer in perfetto stile Ryan Murphy, ma soprattutto The Silence (episodio 4), una folle scheggia di cinema (quasi) muto, slapstick e irriverente che è, anche, l'episodio con le star più riconoscibili: Mélanie Laurent (la quale si produce in un fulmineo monologo finale che, mutatis mutandi, ricorda quello di Pasquale Amitrano nell'epilogo di Bianco, rosso e verdone) e Zachary Quinto.

Autore: Rosario Gallone
Pubblicato il 17/04/2020

Articoli correlati

Ultimi della categoria