Collateral
La miniserie prodotta da BBC e distribuita da Netflix sfrutta le certezze offerte dalla migliore serialità inglese per portare avanti un discorso critico sul nostro presente europeo.
Un fattorino viene ucciso di notte per le vie di South London. Testimoni, prove, alibi, la macchina dell’indagine poliziesca si mette presto in moto, portando alla luce una cospirazione criminale che coinvolge ambienti militari e politici.
L’ossatura di Collateral non si discosta di molto dal più classico episodio di una serie crime, se non fosse che dell’approccio procedurale la miniserie creata da David Hare e diretta da S. J. Clarkson ha poco o nulla. Molti dei tradizionali meccanismi investigativi vengono lasciati fuori campo e quel poco che resta non funziona neanche molto bene: l’intrigo che giustifica il tutto è farraginoso, mentre lo sviluppo dell’indagine non ha nulla di particolarmente accattivante. Lo stesso trattamento viene riservato alla detective protagonista, Kip Glaspie, poco approfondita se non fosse per i dettagli via via offerti dalla recitazione di Carey Mulligan – questa sì curata nei minimi particolari.
Tutto questo perché il cuore dell’operazione ideata da Hare sta proprio negli elementi collaterali alla vicenda, una galleria di personaggi legati all’omicidio in modi diversi, che la serie sfrutta per tratteggiare un quadro problematico e strettamente contemporaneo della Gran Bretagna. Così, ognuno dei caratteri porta con sé prospettive e contraddizioni inerenti temi quali l’immigrazione e il traffico di esseri umani, il terrorismo e il sessismo del potere maschile, la crisi di una classe politica messa alla prova da cambiamenti sociali che ne minano la tradizione identitaria.
L’approccio è certamente didascalico, artefatto per come assegna a ciascun personaggio un ruolo preciso all’interno dei vari argomenti citati, ma fortunatamente Hire se ne serve soltanto per impostare la situazione di base. Lo sviluppo di Collateral è poi molto più libero dei suoi presupposti; attraverso i destini dei vari protagonisti la serie ritrae la confusione e l’incertezza proprie di un presente che continua a porre domande piuttosto che offrire risposte (e che lascia sul campo più sconfitti che vincitori). In un panorama dominato da tensioni sociali, incomprensioni ed errori umani, l’unico riferimento che la serie sposa apertamente è quello femminile offerto dalla detective protagonista, il che rende Collateral da questo punto di vista un’operazione simile a Fargo. È nella sua umanità che si rispecchiano la consapevolezza e la bussola morale necessarie a tempi confusi come questi, specie riguardo alla questione dell’immigrazione considerato il fatto che è su questo campo, oggi e nel prossimo futuro, che si giocherà la grande battaglia etica del nostro tempo.
Messa in onda da BBC2 e co-prodotta da Netflix (che ne cura la distribuzione internazionale), Collateral sfrutta tutte le certezze offerte dalla migliore serialità inglese – in una parola sola, qualità, tanto del comparto tecnico quanto di quello attoriale – per portare avanti un discorso etico e problematico sul nostro presente, in particolare quello della Gran Bretagna post Brexit ma più in generale di tutti i paesi europei. Del resto, tanto l’immigrazione quanto il sessismo o la crisi identitaria della sinistra (forse l’argomento meglio analizzato da Hire, attraverso il personaggio del parlamentare laburista) sono temi ben familiari a tutti noi. Collateral ci permette di guardarli da una prospettiva diversa, che disattende le aspettative del genere ma offre in cambio spunti di riflessione e identificazione da non sottovalutare.