Midnight Mass
Mike Flanagan firma la prima pietra miliare della sua filmografia, una serie iconoclasta che non fa prigionieri e riflette con piglio illuminista tanto sulla religione quanto sulla contemporaneità dominata da sguardi, occhi, binge-watching e piattaforme digitali.
Non c’è niente di sacro, per Mike Flanagan. Avremmo dovuto capirlo, in realtà, già dal suo Doctor Sleep, letteralmente puntellato da sequenze, citazioni, inquadrature provenienti dal classico di Kubrick e reinserite nel flusso di immagini quando non ricreate direttamente da zero, a rimarcare quanto il regista americano non abbia paura di guardare negli occhi la bestia.
Per Flanagan non esistono gerarchie o tradizioni, il suo è lo sguardo di un altro hacker dell’immaginario, come Jon Favreau o Michael Bay, che infiltra, disinnesca e riscrive interi sistemi narrativi per renderli non solo parte del suo percorso di ricerca ma anche strumenti di riflessione critica. E allora non dovrebbe stupire quanto Midnight Mass parta dalle premesse poste in campo da Doctor Sleep, da quella stessa frattura o, meglio, dalle sue direttrici, da Stephen King e dal desiderio di sovvertire un sistema di regole e aspettative precostituito. Midnight Mass è dunque invaso dal fantasma mediale di King, a tal punto che la sua storyline, che vede la piccola comunità di Crockett Island assistere a eventi misteriosi e veri e propri miracoli dopo che un nuovo, carismatico prete arriva sull’isola, pare nascere da suggestioni prese di peso dall’immaginario dell’autore di Portland, da Salem’s Lot a Revival. Ma si tratta, almeno in parte, di un’esca, del primo di una lunga serie di cambi di fronte che saranno alla base della serie stessa. Di King, Midnight Mass mantiene infatti ben presente la cura nella scrittura corale dei personaggi e la concezione dell’orrore come unheimlich ma, di base, è evidente quanto la serie voglia affrontare il genere da un’angolazione politica raramente percorsa dall’autore. Non dovrebbe sorprendere, infatti, quanto, attraverso la serie Netflix, l’iconoclastia di Flanagan si sia spostata su quella religione cattolica che è, giocoforza, uno dei sistemi di segni fondanti l’Occidente.
Più che un romanzo di King, la serie pare dunque un trattatello filosofico tra Jean Luc Nancy e Carpenter che si scaglia contro una struttura simbolica consolidata per mostrarne i limiti. Il progetto di Flanagan è granitico nell’organizzazione dei materiali, a tratti rigido, didascalico, ma ha il pregio di argomentare alla perfezione i suoi spunti di riflessione filtrandoli attraverso la griglia del genere. Al centro di Midnight Mass c’è dunque il ribaltamento satirico, Rabeliano, della religione cattolica, un contesto di cui Flanagan sistematizza ed estremizza tutte le ipocrisie e storture, organizzando uno spazio in cui la fede viene mercificata e l’omicidio giustificato attraverso le Scritture, arrivando a una deflagrazione completa dei rituali ancestrali e della forma mentis del cristianesimo. E così la vera vita eterna non passa più attraverso Dio ma attraverso i vampiri e l’assemblea dei fedeli diventa una “Covenant”, che è tanto la riunione di individui accomunati da un’idea quanto la tradizionale, mitologica unione di creature oscure.
Ma il passo di Flanagan è vivace, esorbitante, alla costante ricerca di qualche spunto reale, concreto, attraverso cui potenziare i ragionamenti. Perché dopotutto c’è bisogno di un vitello grasso da sacrificare per compiere quell’azione purificatrice a cui punta il racconto. Sottotraccia Midnight Mass attraversa dunque anche, irrimediabilmente, gli estremismi della cultura contemporanea muovendosi su un percorso accidentato. Si parte da certi isterismi della fede, si passa per le comunità borderline di Waco e Jonestown, si costeggiano gli sghembi predicatori televisivi ed il tutto culmina in un finale tanto apocalittico quanto immaginifico che incrocia la riemersione di decine di immagini tratte dai testi sacri ai deliri di personaggi vittime delle stesse iperstizioni (per dirla alla Nick Land) dei seguaci di QAnon.
Alla fine il sistema di Midnight Mass va in mille pezzi ma la sensazione è che l’iconoclastia di Mike Flanagan sia stata più deflagrante delle attese e abbia finito per distruggere lo stesso contesto mediale su cui hanno trovato spazio le sue argomentazioni. Si tratta del frutto di un ulteriore ribaltamento di fronte, forse il più interessante, nascosto in piena vista. Perché, guardandola dalla nuova prospettiva mediale innescata dalle piattaforme VOD, la spinta critica della serie non può fare a meno di riverberarsi, a partire dalla sua forma e dal suo linguaggio, sulla dimensione della fruizione e, dunque, sulla spettatorialità in un’Apocalisse davvero integrale, che tira in ballo lo stesso sistema di segni che regge Midnight Mass ma anche questa nuova religione laica, fatta di sguardi, di occhi di cui si cerca costantemente l’attenzione, di algoritmi, di piattaforme.
Non è in effetti un caso che Midnight Mass si ponga agli antipodi rispetto ad altri prodotti coevi: quella firmata da Mike Flanagan è in primo luogo una serie paradossale, che costruisce il racconto sull’osceno, su tutto ciò che accade fuori dal quadro, che di solito non si vede, sulla fede, sull’aldilà, sulla morte, soprattutto, chiamata sempre in causa e sempre col suo nome, centro nevralgico di un meccanismo narrativo che pare volutamente ingolfato, rallentato, in cui i tempi si dilatano, costantemente preda di una sorta di crisi d’identità. Cos’è, davvero, Midnight Mass? È una serie televisiva? È un film a puntate, come suggerisce un montaggio che fa iniziare pedissequamente ogni puntata dalla fine della precedente? È piuttosto teatro racchiuso nello spazio delle piattaforme, tanta è la cura riposta nella dimensione performativa della messa, nella costruzione dei dialoghi, nei silenzi? O, addirittura, si tratta di un progetto di pura contemplazione visiva, fatto di ampie panoramiche, lunghi piani vuoti e certosina costruzione dell’immagine?
Mike Flanagan preferisce non rispondere; a lui, in fondo, è bastato trovare le falle e gli angoli bui di un sistema di segni con piglio illuminista, firmando forse la prima pietra miliare della sua carriera, un progetto coraggioso, forse decentrato, a tratti fuori fuoco ma che si contraddistingue per una certa dose di umanità. Midnight Mass vuole liberarci tanto dalle ambiguità della religione che, tangenzialmente, dalla tirannia dell’algoritmo ma soprattutto vuole farlo guardandoci negli occhi, con una straordinaria sincerità, un valore sempre più raro nell’intrattenimento contemporaneo.