45 anni
Il ritorno del tempo perduto: una lunga storia d'amore, costruita sui silenzi, sui taciuti e sui rimpianti
"Now laughing friends deride
Tears i cannot hide
So I smile and say
When a lovely flame dies
Smoke gets in your eyes"
Smoke Gets in Your Eyes – Testo di Otto Harbach
I coniugi Mercer, Kate e Geoff, interpretati rispettivamente e magistralmente da Charlotte Rampling e Tom Courtenay, sono quarantacinque anni che sono sposati e si apprestano a festeggiare il loro anniversario. Una settimana prima del festeggiamento, Geoff, riceve una lettera dove si annuncia il ritrovamento del corpo della sua ex-ragazza dentro ad un ghiacciaio, morta durante una loro escursione sulle alpi francesi, quarantotto anni prima. Un nome sepolto nella memoria, il nome di un’altra donna oramai dimenticata ma riapparsa nel presente attraverso un ricordo congelato di un tempo perduto. Questa lettera aprirà gli occhi di Kate che osserverà il rapporto con il marito sotto un altro punto di vista, riconoscendosi come un ripiego nel cuore del coniuge.
Un passato che torna denso e vivo, cristallizzato nella memoria nella sua perfetta ed organica forma presente, come un corpo cristallizzato nel ghiaccio, mantenuto vivo dopo mezzo secolo, conservato. Un passato che si divincola dal presente filmico, incluso nello scorrere di una settimana, di un tempo remoto ma ancora vivo ed ingombrante per entrambi i coniugi Mercer, uno spazio relegato ad un fuori campo visivo e temporale, che si annuncia con una lettera tornando ad essere (eterno) presente nel rapporto tra i protagonisti. La loro vita vissuta in una fluidità senza tempo, senza che la sua presenza sopraggiunga in impedimenti nel loro rapporto di coppia (lui rifugia dal tempo e dagli orologi che lo calcolano), Kate e Geoff, si amano, provano a fare l’amore nonostante l’età (biologica) impedisca loro la completezza del rapporto, tornano all’inizio della loro storia nella celebrazione di un atto d’amore attraverso un anniversario; corpi chiusi in una ciclica verticalità di sentimento e di pentimento, con un inizio ed un fine che combacia in un punto, l’amore prima dei quarantacinque anni trascorsi e l’amore, e la frustrante verità, dopo i quarantacinque anni trascorsi, aspetti entrambi passanti per una celebrazione. Un’opera delicata, proustiana sotto certi aspetti, costruita intorno ad un espediente di rottura, una lettera che subentra nel rapporto come un recupero della memoria spontanea, epifanica di un evento solo dimenticato e relegato alla lontananza, alla sepoltura mnemonica, in grado però di tornare e di creare una logica intellettuale e presente attraverso la scelta volontaria del suo recupero che minerà ogni certezza. Andrew Haigh costruisce intorno ai protagonisti una messa in scena basilare e spuria, quotidiana, attraverso degli esterni umidi e melanconici, richiami di una tristezza dell’anima che attanaglia Kate, il suo personaggio femminile si muove in una casa dove sono nascosti pezzi di un passato taciuto, celebrato dall’intimità del marito ma non corrisposto a lei, dei non detti chiusi in soffitta, o dentro a diari impolverati, segnati da fiori appassiti ma non estinti o definitivamente gettati, ricordi dolorosi contenuti in fotografie e diapositive esplicative che tornano dal remoto. Il regista crea affinità tra il tempo che scorre sul corpo, nell’anima e nella memoria e la capacità fotografica di suggellarlo in un istante, racchiuderlo in un’immagine per riconoscerlo e attraverso il quale riconoscersi come una singola unità di coppia. Sono le fotografie dei tempi andati e dei trascorsi insieme a rappresentare il sapore della madeleine proustiana, attimi di memoria condivisa che Geoff rifugerà dal fare e dal mostrare (non appendendo nessuna foto alle pareti di casa) mentre Kate rimpiangerà di non avere esposte nessuna loro immagine. In queste fotografie è incluso tutto il fuori campo temporale, nella rappresentazione sia di un balsamo della memoria e del rimpianto di Geoff sia di una silente sconfitta e presa di coscienza di Kate. Film che risulta complementare, ed integrativo, ad un’altra opera sulla senilità, stiamo parlando del magnifico e toccante Amour di Haneke. Se in quest’ultima opera era la caducità del corpo, inteso come fisico invecchiamento cellulare incapace di contenere un sentimento immateriale e duraturo, qui è la memoria ad essere terreno di indagine, un passato condiviso che viene ristrutturato alla luce di una negazione, di un silenzio volontario che cela una verità mai enunciata.
45 anni è un’opera intensa, dolce ed amara, contenuta tutta dentro l’ultima meravigliosa zoomata, ed inscritta nel testo della canzone che durante il loro ballo viene suonata. Due figure intere che danzano mentre l’immagine si restringe finendo il movimento sulla mezza figura di Kate, oramai sfuggente alla presa del marito ed ingannata, e mentre tutti intorno ridono e celebrano la loro lunga unione, mentre il marito stesso risulta incapace di sincerità ed onesta nei propri sentimenti, mentre le lacrime che nascono dal suo discorso sono più di pentimento che di amore, lacrime bagnate di rimpianto, la fiamma dell’amore e del rispetto in lei inizia ad estinguersi; e mentre il fumo sale ad annebbiargli la vista (Smoke Gets in Your Eyes), cresce in lei una cecità parziale, lunga solo quarantacinque anni. Quello che rimane è forse il continuare a stare insieme, ciechi ed offuscati, scegliere di amarsi e scegliere di rimanere insieme anche se lontani e distanti dal calore sincero di un sentimento veritiero, anche se dentro una lunga bugia. Corpi e sentimenti contenuti dentro un’immagine fotografica, che mai perisce, che sempre torna, forse falsa o forse no. Comunque lontana, rievocabile e dolorosa come un segreto inconfessato.