Alabama Monroe – Una storia d’amore si apre con un ricatto morale lanciato addosso allo spettatore con tanta violenza che il primo istinto è di alzarsi e insultare il regista per il sequestro emotivo subito. Una bambina angelica di 6 anni col cancro, i capelli che cadono e il vomito durante la tentata cura mentre intorno si tenta di mantenere un ambiente rassicurante: le stelline luminose nella camera d’ospedale, i racconti sul Generale Chemio, i disegni sui muri. Che cosa ci vorrà dire un film che parte con un registro già così strappalacrime? Sarà l’ennesimo tentativo di portare a casa il risultato con una facile manipolazione morale? Per fortuna del film belga, che si è anche guadagnato una nomination agli Oscar per il Miglior Film Straniero, le cose non stanno così.
Se la storia di Elise e Didier – innamorati al primo sguardo, così diversi fra loro ma dopo qualche mese già installati in una deliziosa casetta in campagna con gli animali – sembra quasi troppo caramellosa nell’insistere nella bellezza degli inizi, con quei rapporti sessuali estasiati, la gioia di accettare di avere un figlio non previsto e l’arrivo dell’adorabile Maybelle, è solo per accentuare la caduta quando il dramma della malattia si palesa e spazza via tutto. La vita è stata troppo generosa con noi, urla Elise al compagno, che novello Giobbe si scaglia contro Dio e la religione in nome della quale è stata osteggiata quella ricerca scientifica che avrebbe potuto salvare Maybelle. Nessuna indicazione etica precisa appare nel film, che invece riassume le possibili reazioni alla perdita improvvisa. Rifiutare la fede che acceca la ragione ammettendo l’assoluta irreparabilità della morte; decidere di credere nell’anima e in qualcosa che rimane oltre ogni evidenza; soprattutto trovare un motivo, che può diventare però sinonimo anche di causa, come nella sequenza in cui la coppia, con lucida follia, inizia ad accusarsi l’un l’altro dei possibili errori responsabili del cancro della figlia. Hai fumato durante i primi mesi della gravidanza, ricorda Didier. Non mi hai permesso di allattare a lungo, e nel latte materno ci sono anticorpi così preziosi… ribatte Elise.
Basare il film sulla scelta narrativa dei flashback comporta un’alternanza quasi insopportabile di momenti felici e disperati che fa pensare che lo stesso regista interpreti il ruolo di quel Dio crudele contro cui Didier si scaglia, che dà e toglie senza criterio e giustizia; quell’essere superiore che non ha pietà oppure semplicemente non esiste affatto. Alabama Monroe – Una storia d’amore è la storia dell’istinto umano di autodistruggersi quando il dolore è troppo forte, e della domanda senza risposta che ci accompagna dall’alba dei tempi: vale la pena vivere anche quando fa troppo, troppo male? È penosamente impossibile offrire una soluzione al quesito, perché non si può non riconoscere il diritto di Elise a pensare che è quasi immorale pretendere di andare avanti nella vita quando non puoi salvare i tuoi figli, né è lecito negare a Didier una naturale volontà di sopravvivenza oltre ogni evento catastrofico. Se la vita non la si può giustificare, non rimane altra libertà che raccontarla, come l’uomo con cappello e stivali da cowboy che canta le sue amate canzoni country, e la sua donna che si scrive sul corpo con l’inchiostro i nomi cardine della propria esistenza; e come fa un cinema che non può curare o proteggere i propri personaggi ma solo lasciarli liberi di agire dentro lo spazio che concede loro. Come un Dio indifferente, una Natura spietata, e un’arte umana condannata alla sola espressione, senza promettere miracoli, ma unicamente storie per piangere e ridere.