The Girl with the Needle
Al suo terzo film il regista svedese Magnus von Horn firma un'opera debordante sulla deformità fisica e morale di un'intera società. In esclusiva su MUBI.

Sin dalla sequenza iniziale di The Girl with the Needle, con quel montaggio di volti distorti che si alternano e sovrappongono tra loro, richiamando, da una parte, i ritratti di Francis Bacon, dall'altra, inevitabilmente, il Bergman di Persona, è chiaro come il film di Magnus von Horn (Sweat) – disponibile su MUBI e candidato all'Oscar come miglior film internazionale – tradisca una certa ambizione. Nella fiaba (bianco e) nera di Karoline (Vic Carmen Sonne), giovane sarta di Copenaghen con un marito disperso in guerra (siamo nel 1919), sedotta e abbandonata dal padrone della fabbrica in cui lavora e ritrovatasi ad affrontare, sola e senza lavoro, una gravidanza oramai ingestibile e un ritorno inaspettato, c'è infatti tutta la forza di un cinema estremamente consapevole di sé.
Dalle atmosfere che richiamano apertamente l'espressionismo tedesco, passando per una messa in scena che interroga continuamente la storia della settima arte e il modo in cui, nel tempo, ha saputo guardare la realtà, tra intermezzi grotteschi che citano i Freaks di Tod Browning, rimandi a M – Il mostro di Düsseldorf e viaggi alle origini del mezzo, fino alla citazione esplicita de L'uscita dalle officine Lumière, sembra infatti che The Girl with The Needle cerchi continuamente un proprio sguardo, il modo esatto e la giusta distanza per raccontare una storia dell'orrore tanto reale (la vicenda di Karoline si intreccerà, suo malgrado, con un terrificante fatto di cronaca nera del tempo) quanto trasfigurata dalle sue infinite suggestioni.
È una discesa nell'inferno di un'umanità disperata, del resto, quella raccontata da von Horn. Una storia di sopravvivenza tutta femminile in una Copenaghen sconfitta e sfigurata tanto moralmente quanto fisicamente, dove l'orrore sembra all'ordine del giorno. Un affresco lugubre e nerissimo raccontato dal regista attraverso uno stile muscolare, un'eleganza formale carica di riferimenti e di un citazionismo fuori controllo ma anche ricca di trovate e spunti interessanti.
Dividendo, tra colpi di scena e svolte repentine, il suo racconto in due parti ben distinte, il regista passa così dal dramma sociale dagli echi quasi dickensiani a una cupissima storia di serial killer. Con l'ingresso in scena di Dagmar (Trine Dyrholm), donna di mezza età che accoglie i neonati non voluti per poi affidarli, così dice, a famiglie benestanti, l'orrore da privato si fa definitivamente collettivo, colorando di risvolti oscuri e terribili persino il concetto stesso di maternità. Un orrore a tratti insostenibile, che scuote le coscienze e parla la lingua della disperazione. Quella di un'umanità ormai abituata a voltare la testa, così assuefatta dall'orrore da guardare da un'altra parte mentre il Male fa il suo corso.
È questa assuefazione all'orrore e a una miseria prima di tutto morale, forse, il punto di The Girl with the Needle. Una parabola che – con la sua forma esasperata e il primeggiare delle immagini su qualsiasi approfondimento psicologico o emotivo dei personaggi – potrebbe tradire un certo compiacimento o sembrare un semplice esercizio di stile, ma che in realtà, nel suo racconto di un'umanità sempre a un passo dal grottesco ma mai abbastanza da mettere una barriera tra sé e lo spettatore, parla del nostro tempo più di quanto si potrebbe immaginare.