Fairytale - Una Fiaba
Un film dal futuro, riflessione sulle implicazioni della riproducibilità d'archivio per cui l'intera storia del cinema finisce a replicarsi in una GIF.
Uno spot ENI di qualche anno fa vedeva una coppia passeggiare in un setting post-prodotto da primo Novecento: “porterò il gas in tutte le case”, diceva lui. In rete, per un po’ di tempo è circolato (e si trova ancora) un meme che aveva sostituito la faccia dell’attore, sottobraccio con la donna, con quella di Adolf Hitler, riportando la battuta sul gas in questione. Ecco perché, per quanto infestato da visioni del passato (o forse anche proprio per questo), Fairytale – Una fiaba è inequivocabilmente un film dal futuro. Spieghiamoci.
Non dovrebbe sorprendere che sia proprio il 71enne Sokurov a lasciarci questa riflessione cristallina sul ruolo dell’archivio nella costruzione del dibattito politico contemporaneo: il regista russo in Francofonia (2015) utilizzava già videochiamate e immagini sgranate di webcam prima che il desktop movie fosse un genere, per non dire del celebre piano sequenza integrale di Arca Russa, che vent’anni fa anticipava i nostri tempi di long take muscolari onnipresenti tra autorialità ed entertainment, oggi però truccati e “potenziati”. Nel suo ultimo film, Sokurov costruisce l’intera struttura a partire da immagini di repertorio a cui riserva un trattamento di maniacale estrapolazione e ricontestualizzazione, un processo che ha impiegato anni: frammenti di pochissimi secondi di durata vengono giuntati e manipolati in modo tale da far dialogare tra di loro Mussolini, Hitler, Stalin e Churchill, anime vaganti in una sorta di limbo dantesco, fatto di fondali che sembrano estratti da qualche edizione illustrata della Divina Commedia, dove aspettano che si apra prima o poi il portone per ascendere al paradiso. Ecco, a chi la vede come un’opera minore, come un nuovo tentativo di lambire il campo della videoarte (nei toni affrontati da esperimenti come Elegia Sovietica o Sonata per Viola), o come un ritorno “accessorio” a temi e figure affrontate nella vertiginosa trilogia Moloch, Taurus e Il sole, proponiamo di provare a spostare il focus ancora una volta sulla questione dei corpi-icona di questi capi di Stato. Un invito che Sokurov dichiara esplicitamente quando comincia a moltiplicare le “versioni” di queste figure storiche sulla scena: Mussolini a petto nudo “fratello” del Mussolini in camicia nera, Churchill in Arabia in tenuta “da deserto” che convive con il Churchill di “lacrime, sudore e sangue”… le silhouette dello stesso personaggio prelevate dal footage d’epoca e fatte coesistere nella stessa inquadratura stanno esattamente lì a raccontarci come, nell’epoca dell’accesso istantaneo e indiscriminato all’intero archivio delle immagini in movimento del Novecento, la (ri)produzione di copie dei “santini” dei leader, da spargere per i rivoli sempre più sfuggenti e copiosi della comunicazione contemporanea, si sia tutt’altro che arrestata, e sia tutt’altro che innocua. L’improvvisa invasione di massa che si verifica nel film, con le fila di popolazione duplicate digitalmente, somiglia allora sul serio ai ritocchi effettuati oggi sulle foto propagandistiche dei raduni sui profili dei politici-influencer.
Per quale motivo le anime di Hitler o Mussolini non riescono a trovare pace e sono come incatenate in questa dimensione tra la terra e il cielo? Cosa le tiene ancorate alla nostra realtà? Forse a richiamare ancora e ancora questi volti e le loro dichiarazioni più criminali nel presente, a non lasciare andare la loro scia, è davvero il riutilizzo costante e spudorato che la cosiddetta anti-politica fa di questi simulacri, ridotti a post, meme e gif che alimentano le pagine social e le chat dei gruppi sovranisti o delle frange populiste. Proprio come incollare la faccia del Fuhrer sullo screenshot di uno spot dell’ENI sul gas. È il veicolo con cui oggi si guadagna, orienta e mantiene il potere con appassionata intensità, mentre ai giusti manca ogni convinzione, per dirla con Yeats, come il sognatore addormentato che intravediamo ogni tanto in sovrimpressione, o quel Gesù Cristo disteso esanime nell’incipit, senza neanche più la forza di parlare.
Giunto non a caso agli albori della democratizzazione del deep fake, Fairytale – Una fiaba è il film-meme definitivo proprio perché mette in scena l’annullamento della prospettiva storica a favore di un presente continuo, indefinito e sonnambolico, fatto di segni sradicati e lasciati galleggiare in una bidimensionalità senza alcuna profondità. È una gigantesca GIF che ingloba esattamente le meccaniche di quel linguaggio, la filosofia del loop e quella velocità strana, difficile da registrare per il nostro occhio, propria di un frame che è stato troppe volte rallentato e “re-sizato”. Da questo punto di vista è un’opera apertamente ridanciana (come già lo era il Faust, per dire), che si prende gioco di queste pratiche come fa dei suoi stessi personaggi con scambi di battute al limite del grottesco: soprattutto, sogghigna appunto sul futuro del cinema nella sua forma di dispositivo prediletto di raccolta e catalogazione delle immagini come è stato per lo scorso secolo, o quantomeno sulla sua estinzione. Alla domanda che fine farà l’intera storia del cinema, Sokurov sembra infatti rispondere “è finita in una GIF”.