Continuano le vicende di Philip ed Elizabeth Jennings, agenti segreti del KGB e membri del direttorato sovietico operante all’interno degli Stati Uniti. La prima stagione di The Americans, serie televisiva di Joe Weiseberg, aveva lasciato il segno, trasportando lo spettatore negli uffici delle ambasciate russe e degli agenti federali americani, trascrivendo fedelmente il clima della Guerra Fredda. La traiettoria è stata quella della spy story, dove una coppia di spie russe deve fingersi americana e combattere segretamente per l’avanzata del comunismo. The Americans, dicevamo, ha stupito perché è un prodotto fatto dagli americani, che parla degli americani ma contemporaneamente spinge ad identificarsi con il nemico. Lo spettatore subisce il fascino dei protagonisti, comunisti si, ma letteralmente travestiti da americani ed inseriti culturalmente nell’ideologia capitalista. Dall’altra parte della storia, ci sono i burocrati comunisti, leninisti fino all’osso, dunque antipatici, e ci sono pure gli sbirri, troppo yankee e ottusi per risultare simpatici. In tal senso la prima stagione di The Americans ha costruito costantemente il desiderio empatico del mettere lo spettatore nei panni dell’altro, di quel Grande Altro che è il comunismo.
Tutt’altra storia è l’inizio della seconda stagione, trasmessa in queste settimane negli Stati Uniti. La prima puntata, Comrades, apre una traiettoria nuova e inedita, mettendo da parte, almeno momentaneamente, la questione politica e spionistica, concentrandosi maggiormente su una dimensione intimista. Un evento traumatico, imprevisto, scatena scompiglio negli animi dei protagonisti. Il ritrovo dei corpi di una coppia di amici e colleghi, uccisi brutalmente con i loro figli, genera una preoccupazione insolita. Che un lavoro del genere possa mettere in pericolo la propria vita è una cosa che si dà per scontato, ma quando ad essere in pericolo è la famiglia e i propri figli, allora tutto acquista un significato diverso. La sensazione dopo cinque puntate è che gli autori abbiano scelto di focalizzare l’attenzione sulle dinamiche domestiche e private, inserendo nel discorso il tema familiare e tutti i sentimenti che ne derivano. C’è innanzitutto Elizabeth, che sviluppa una natura materna, mettendo al centro della sua causa non più il comunismo, ma la protezione e la salvaguardia dei figli. Posizione questa che genera in lei ansia, sfociando nella paranoia pura e nel dubbio costante di tirarsi indietro da un lavoro che ha perso ogni attrattiva ideologica. Elizabeth, che nella prima stagione aveva difficoltà a credere nella veridicità di una coppia combinata politicamente a tavolino, adesso si sente finalmente moglie di Philip, mostrando disprezzo nel momento in cui deve concedere se stessa e il proprio corpo per una causa superiore. Così quando, per ottenere un fascicolo top secret di un comandante della marina, deve masturbare contro ogni voglia un giovane ufficiale. La situazione di Philip non è da meno, poiché anch’egli è costretto a dividersi tra due famiglie, una vera e l’altra fittizia, inscenando in questo caso la parte del marito affettuoso e disponibile, ma anche un po’ frustrato, al fine di ottenere informazioni sensibili sulle operazioni degli agenti federali. Nel frattempo i figli crescono e qualche dubbio viene anche a loro, come a Paige, la primogenita di Philip ed Elizabeth, che sembra aver intuito la doppia vita dei genitori, troppo discreti sulla loro identità e il loro lavoro. La curiosità della ragazzina è tale da spingerla a indagare, a curiosare senza scrupoli, inciampando per sbaglio in scene primarie di freudiana memoria.
In The Americans, già nella passata stagione, si era inserita una trama secondaria incentrata sulla storia dell’agente speciale dell’FBI Stan Beeman e la sua amante russa, nonché talpa nel direttorato sovietico, Nina Sergeevna. Analogamente alla situazione di Philip ed Elizabeth ci troviamo di fronte a personalità divise, che vivono in segreto la loro relazione, nascondendosi dalle proprie famiglie e dai propri superiori. L’interesse alla famiglia, abbiamo detto, sembra allontanare la serie da un certo orientamento politico. Tuttavia, però, è proprio in quest’ottica che The Americans articola una sua posizione ideologica. Se nella prima stagione c’era una tendenza anarchica e sovversiva, basata sull’identificazione dello spettatore nei protagonisti di orientamento comunista, ora c’è una sottile presa di coscienza che reinserisce il comunismo nella lista nera dei mali da debellare, poiché minaccia l’ordine familiare costituito, su cui si basa il modello occidentale. Invero Philip ed Elisabeth si avviano gradualmente verso una redenzione realizzando, almeno idealmente, una famiglia tipicizzata. In questo modo mettono in dubbio il proprio credo, la propria missione e dunque il loro orientamento politico. Dall’altra parte, invece, c’è l’agente dell’FBI Stan, che dal punto di vista professionale dovrebbe rappresentare l’istanza assoluta della Legge e dell’ordine costituito. Egli s’innamora di una comunista, tradisce la moglie e dunque mette in crisi il sistema familiare
The Americans sembra volerci dire che in entrambi i casi è sempre il comunismo ad impedire una felicità familiare.