Anarchia – La Notte del Giudizio

Col secondo capitolo della trilogia, DeMonaco alza il tiro e ci mostra ciò che accade per le strade, nella notte più violenta d’America

“Questo è un mio diritto, che mi è stato garantito dal mio Governo. Dio benedica l’America”

La Blumhouse, factory americana fondata da Jason Blum, si è specializzata in horror blockbuster dagli incassi stratosferici: prodotti ben realizzati, a misura di pubblico, che intrattengono e divertono ma senza grandi scossoni. La trilogia The Purge (in italiano: La Notte del Giudizio) fa eccezione: il regista e sceneggiatore James DeMonaco ci regala un’idea tanto semplice quanto geniale e realizza tre opere una più bella dell’altra. Ambientate in un futuro prossimo, in cui gli USA sono governati dai Nuovi Padri Fondatori (NFF, New Founding Fathers), lobby extra-conservatrice che ha dato il via a una nuova era di prosperità e benessere: la disoccupazione è circa all’1%, e la violenza è assente, tranne che per un’unica notte all’anno, la Purge Night (la parola purge in Italia è tradotta come “sfogo”), un arco di 12 ore in cui ogni crimine è lecito, anche l’omicidio, senza che soccorso medico e forze dell’ordine possano intervenire.

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La nuova loggia dittatoriale imbambola gli americani con la scusa della “purificazione” dai propri istinti violenti che è, in realtà, sterminio legalizzato delle “mele marce” della società, ossia i poveri, i quali non hanno i mezzi per difendersi. Il primo film, intitolato semplicemente La Notte del Giudizio (The Purge, 2013), ci mostrava un punto di vista interno, con un home invasion tosto e ben congegnato. Il secondo capitolo, questo Anarchia – La Notte del Giudizio (The Purge: Anarchy, 2014) alza il tiro e DeMonaco mette in scena ciò che tutti erano curiosi di vedere, ossia ciò che accade fuori. Il terzo film, La Notte del Giudizio – Election Year (The Purge – Election Year, 2016), attualmente nelle sale italiane, svela una volta per tutte ciò che c’è dietro, seppur già facilmente intuibile soprattutto dal secondo film. “It’s all about money”, per citare le parole di Carmelo Johns(Michael Kenneth Williams ), primo grande oppositore del Purge che apre gli occhi alla popolazione sulle vere motivazioni che si celano dietro ciò che accade in quella notte che ha luogo il 21 Marzo, in coincidenza con l’equinozio di Primavera. Negli USA ci sono meno poveri non perché ci sia più abbondanza bensì, molto semplicemente, per il fatto che vengono uccisi; il capitale viene mosso verso l’alto, e l’eliminazione fisica delle fasce deboli consente un bel risparmio sull’assistenza sociale e altri diritti fondamentali dell’individuo. Siamo nel 2023, al nono anno di purga e nella città di Los Angeles: dalle 19 alle 7 del mattino ogni violenza è lecita e nessuno potrà intervenire. Tre storie diverse si intrecciano tra loro: quella di Shane (Zach Gilford) e Liz (Kiele Sanchez), giovane coppia in crisi, la vicenda di Eva (Carmen Ejogo) e sua figlia Cali (Zoë Soul) e, in primis, quella di un poliziotto in cerca di una giustizia che diventa vendetta ossia il “sergente”, il cui nome (Leo Barnes) non viene mai pronunciato, interpretato da un ottimo Frank Grillo, solitario e dolente. Il “sergente”, dopo aver perso il figlio nel corso della Purge dell’anno precedente, è divenuto una sorta di “giustiziere solitario”, in cerca di vendetta verso chi gli ha portato via ciò a cui teneva più di ogni altra cosa: nel corso della sua ronda notturna, salva la vita agli altri quattro personaggi, dando così il via a una lotta per la sopravvivenza che è, al tempo stesso, vera e propria Resistenza.

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C’è molto cinema di Walter Hill e Carpenter in questo secondo capitolo – non a caso, DeMonaco è stato autore dello script del remake di Distretto 13, targato 2005 – che è un misto di action violento, cinema d’assedio ma, in primis, film in tutto e per tutto politico. DeMonaco lancia una bella stilettata verso l’America Wasp e armata fino ai denti per paura della delinquenza, mostrando un futuro distopico ma non troppo, una degenerazione immaginaria ma non così distante dalla realtà dei fatti. La legge dei Nuovi Padri Fondatori ha presa facile in un Paese dove le armi sono praticamente alla portata di tutti e su di un popolo che può finalmente tirare fuori tutto il marcio che ha dentro. La “purificazione” è sfogo incontrollato dell’istinto di violenza ma anche regolamento di conti, esplosione di vecchi rancori, l’Es individuale che può scorrere libero senza alcun freno. E’ emblematica, in questo senso, la sequenza in cui il gruppo di protagonisti trova rifugio a casa di un’amica di Eva e, all’improvviso, una componente della famiglia uccide la propria sorella e il proprio marito in quanto ha scoperto la loro relazione: “Questo è un mio diritto, che mi è stato garantito dal mio Governo”, proclama la donna mentre compie il massacro. L’anarchia della notte di “purga” è in realtà ossimoro per eccellenza: vi sono regole ben precise e controllo manovrato dal governo, al punto che, per dare una mano ai cittadini, i Padri Fondatori sguinzagliano gruppi armati al fine di ripulire in maniera più energica.

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Il concetto di “sfogo collettivo” affonda le sue radici nel paganesimo, nei riti sacrificali di Primavera, passando per il Carnevale di Rio, che è grande festa dietro alla quale si celano violenze e omicidi. L’atto di sguinzagliare la propria bestia interiore è qui strumentalizzato da un Governo inquietantemente vicino a figure come Donald Trump, che fa leva sul patriottismo yankee (“A Nation reborn”) per levarsi di torno ceti sociali scomodi e accumulare sempre più ricchezza. L’opposizione è rappresentata dal già citato Carmelo Johns e dal suo gruppo armato, del quale fa parte Dante Bishop (Edwin Hodge), già presente nel primo film, nei panni del senzatetto, e che tornerà nel terzo; The Purge: Anarchy è perfetta preparazione al capitolo successivo, che diviene puramente politico col suo Election Year.

I “purgers” ossia coloro che partecipano attivamente alla notte liberatoria, sono rappresentati in maniera squisitamente scenografica e di grande impatto, caratteristica che tornerà, assai rafforzata, nella pellicola successiva: lo spettatore si trova in una posizione ambigua, si diverte ma in modo un po’ colpevole nell’esaltarsi davanti alle gangs mascherate e armate, assai vicine a quelle de I Guerrieri della Notte ma ben più macabre e letali. Vi è anche il lato catartico ossia quello della vera giustizia, quella del popolo, dell’uccisione dei ricchi bianchi che sacrificano i nullatenenti per il proprio divertimento, portando l’hype a livelli assai alti.

La sapiente fotografia notturna firmata da Jacques Jouffret e la splendida colonna sonora di Nathan Whitehead completano un’opera potente, che unisce intrattenimento puro e riflessione, alzando così ulteriormente il livello qualitativo di una saga orrorifica che è, con ogni probabilità, la migliore in circolazione. Curiosità: nel corso dell’edizione 2014 delle Halloween Horror Nights, che hanno luogo ogni anno in diverse sedi degli Universal Studios, la scare zone – luogo in cui si ha una live-action ispirata a un film – è stata dedicata proprio a The Purge: Anarchy, con una simulazione di quanto accade nel film.

Autore: Chiara Pani
Pubblicato il 07/08/2016

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