The Hunt
Dalla Blumhoouse l'horror grottesco scritto da Damon Lindelof, satira della contrapposizione social-e al tempo degli schermi universali.
You want to hear my theory? –
Not really…
Inizio del film, schermo di un cellulare. In una chat di messaggistica istantanea la parola the hunt si isola dal contesto e diventa titolo. Non c’è neanche bisogno di rivendicare la virtualità come dimensione altra, ormai ci siamo palesemente dentro, è uno stato d’essere, un reflusso di ideologie, la condivisione social che si crede rete ma di collettivo reale ha ben poco se non un incessante rispecchiamento autoreferenziale. Prendete l’inizio della caccia: come in un gioco di interfacce, ogni potenziale protagonista schiatta miseramente in un generale scollamento dalla realtà che ha del demenziale. C’è chi, infilzata da una punji sticks trap ci tiene a ricordare che l’indomani sarebbe stato il suo compleanno; c’è chi, in pieno afflato eroico, poggia il piede su una mina e boom, tanti saluti. Sono profili monodimensionali, in-umani, una fauna di deplorables svuotati da ogni residuo emotivo e in balìa di una élite che è più simile a loro di quanto sembri. Perché ridurre The Hunt a una banale opposizione sociale rischia di essere fuorviante, non ne mette a fuoco il continuo slittamento di senso, le bolle di falso pensiero incapaci di afferrare le cause e di legittimare se stesse. Ecco perché la satira punzecchia ghignante, in un susseguirsi di teorie lontane da qualsivoglia referente: complottismo, veganesimo, cambiamento climatico, problematiche razziali, opinioni che hanno la “persuasiva” durata di una notifica da social network. Pensiamo solo a quante teste esplodono durante la caccia. È evidente che a mancare, dietro questa presunta fairy tale sulla lotta di classe, sia una vera idea pulsante.
Tocca a Crystal (ottima Betty Gilpin che si reinventa da wrestler di GLOW) cavalcare una linea narrativa credibile, lei reduce fredda e totalmente a-social(e), disinteressata verso le teorie da community che possano dare un senso a questo calderone impazzito. Pura indole meccanica, capace di osservare e comprendere una messa in scena che può essere disinnescata solo attraverso l’azione. E la violenza, quella lucida e autoassolutoria della sopravvivenza, diventa così l’unica traiettoria che sfalda questo mondo costruito sulle proprie convinzioni fake.
Non manca però la sua nemesi, Athena, la leader del Manorgate. Per più di metà film è fuori campo o ripresa di spalle, un’eminenza grigia con la quale la protagonista si scontrerà faccia a faccia in un duello senza esclusione di colpi che omaggia palesemente il face to face tra Black Mamba e Vernita Green in Kill Bill. Non solo una battaglia, ma anche un flirt sanguinolento, tra fascinazione reciproca e unione d’intenti all’insegna della vendetta. La pazzia è sicuramente un’affinità elettiva, poi però, ancora una volta, si capitombola su una comprensione finale anche in questo caso sfalsata. Come poteva Athena aver scelto la giusta Crystal, se quest’ultima, con totale nonchalance, si congeda in un abito da sera d’alta classe?
Satira gocciolante sangue, sceneggiatura di Damon Lindelof e marchio Blumhouse, The Hunt non dà certezze, ci fa cavalcare la traccia di genere, lasciandoci però numerosi interrogativi, quasi a rivendicare sardonicamente che di questi tempi è proprio difficile uscire dall’identità narrativa, dalle menzognere finzioni di queste frange di pensiero web. Pur non distinguendosi per chissà quale guizzo e rischiando spesso di riproporre la stessa attitudine superficiale che irride, The Hunt rimane comunque una ludica exploitation che, probabilmente, ama “trollare” anche il nostro desiderio di chiarezza.