Aquarius
Sonia Braga è anima e corpo del film di Kleber Mendonça Filho. Film politico e polisensoriale.
“I capelli di Clara”, “L’amore di Clara”, “Il cancro di Clara”. Tre capitoli come argini fatui, in fondo, perché non possono contenere ma piuttosto traboccare, come a sostanziarsi, a riversarsi, a vivere l’uno nell’altro. Non è una scansione drammaturgica, non sono le tappe o l’ordine di un percorso narrativo, ma una composizione ipnoticamente imperfetta, un coaugularsi lirico e ruvido insieme, vitale e potente, di sguardi, parole, sentimenti, ricordi, corpi, luoghi. Di cose. I vinili di Clara, o un vecchio mobile che sa dire del piacere, dell’eros, e di un’epoca finita. Aquarius – in Concorso al Festival di Cannes 2016 – è dentro la vita, dentro il tempo, una geografia della memoria. E Clara, di questo tempo, è il nome, l’emozione, il punto di rottura, la resistenza, è il corpo di una straordinaria Sonia Braga. Clara è quello che rimane. È la formidabile misura del film, la sua pienezza imprendibile, il suo orizzonte, la grazia, la sensualità, la musica. Il senso.
Secondo film di finzione per Kleber Mendonça Filho, classe 1968, cresciuto nel giornalismo e poi passato alla macchina da presa muovendosi tra documentari e lavori più sperimentali, arrivando nel 2013 a realizzare il suo primo lungometraggio di fiction, Neighbouring Sounds, girato, come Aquarius, nella sua città, Recife, Brasile nordorientale.
Clara è il centro e la fuga; l’avvio del film si colloca nel 1980, è giovane e bella (Bárbara Colen), amata, ha vinto il cancro e festeggia con i parenti il settantesimo compleanno di sua zia. Oggi, molti anni dopo, in quella stessa casa, è una critica musicale in pensione, vedova sessantenne. È ancora bella. La mattina si sveglia e dalla finestra può innamorarsi ogni giorno dell’oceano, andare sulla spiaggia, fare il bagno. È rimasta l’unica a vivere in quell’edificio, risalente agli anni Quaranta, mentre tutti gli altri appartamenti sono stati acquistati da una società che vorrebbe fare di quel complesso una nuova zona residenziale. Lei, però, anche contro il parere dei tre figli, la sua casa non vuole venderla, e nonostante le offerte, le lusinghe, i modi apparentemente gentili di un uomo e di suo nipote, a capo della compagnia immobiliare. Ovviamente i due faranno di tutto, cercando di metterla sempre più psicologicamente alle strette.
Polisensoriale, stratificato, umorale. Film politico senza didascalismi, ma con un preciso punto di vista del regista che non solo si affida alla parola e al corpo di Clara (ma è davvero difficile separare Clara da Sonia Braga: c’è un’aderenza che pare profondissima) ma anche, e molto, all’impasto audiovisivo del film, alla bossa nova, all’immagine, al suono. Le dicotomie, qui, non sono tesi, ma lavorìo di messa in scena. Nella Recife di ieri e di oggi, nelle foto in bianco e nero, così come nel colore che la incarna e la disincarna nella sua forma cinematografica sinuosa, porosa e sottile, c’è il Brasile passato e presente, un immaginario e una cultura che sono stati traditi, violati, quasi per certi versi cancellati, nel nome di nuove gerarchie e scenari valoriali, dalle soluzioni e i dogmi del capitalismo e dell’economia. I personaggi di Aquarius sono umanità e rappresentazioni insieme. In patria non sono mancate analisi giornalistiche che hanno individuato analogie ad ampio spettro tra il personaggio di Clara e la figura di Dilma Rousseff, destituita quest’anno dalla Presidenza del Paese, e in effetti anche cast e troupe a Cannes hanno manifestato in sua difesa. Due donne, in fondo, appartenenti allo stesso mondo. O meglio, a un’idea di mondo, di sogno e di realtà.