Arcana
Da Rosemary a Questi's baby: l'epocalisse osservata dietro la lente simbolica di una zampa di gallina
Definire una chiave di lettura univoca, o quantomeno oggettiva, riguardo ad un’opera così stratificata nell’esposizione della sua simbologia ed oscura nelle tematiche affrontate, come già il titolo suggerisce, Arcana, è un’operazione alquanto complicata. Un’opera, la terza ed ultima del duo ghezzianamente definito Jules e Kim - rispettivamente Questi e Arcalli - già nell’incipit nasconde e cela un significato laterale, confinante con la dichiarata esposizione di un gioco di carte. Se in The Driller Killer, Ferrara introduceva la visione dichiarando con una didascalia l’alto volume necessario per farsi trapanare il cervello dall’alienazione della grande metropoli, passando quindi da una patologia oculare ad una patologia uditiva (This film should be played loud), qui, Questi, da mazziere consegna le carte al tavolo e gli spettatori devono giocare. Questo film non è una storia, è un gioco di carte. Perciò non è credibile l’inizio ne tanto meno il finale. Giocatori siete voi. Giocate bene e vincerete.. La migliore tradizione legata alla cartomanzia definisce un senso occulto di divinazione, il mazzo dei tarocchi inteso come caos primigenio reso leggibile ( ed interpretabile) dal taglio del mazzo, una scelta soggettiva che dà un ordine alla caoticità ed alla moltitudine delle situazioni e definisce una strada o una risposta. Nel mezzo simboli tradotti in pose, in re e regine, in angeli e demoni, in funzioni massimizzanti, ognuno con un suo specifico, oscuro quanto ambivalente, significato. Bene. Una volta fatta questa premessa, per Questi, il gioco alchemico può iniziare.
Arcana racconta la storia di una famiglia in precedenza povera e di origini agresti, meridionali, composta da una donna, la signora Tarantino (Lucia Bosè) e dal figlio (Maurizio Degli Esposti), che iniziano, dopo la morte lavorativa in metropolitana dell’uomo di casa, e grazie alle conoscenze magiche genealogiche, a guadagnare proponendo, nella loro casa alla periferia della grande città del nord del Paese, cartomanzia, ipnosi di gruppo e chiromanzia. L’idea strutturante della famiglia è riscuotere dei soldi, attraverso una iniziale falsa magia, facendo leva sulle difficoltà delle persone che entrano in casa loro e che vivono alienate nella grande città. Indurre, quindi, la massa a credere in qualcosa che il duo inizialmente non offre. I problemi sorgono quando il figlio, carattere sempre più escluso sia dal disegno materno di una loro scalata sociale legata al denaro dei clienti – tesa alla ricerca costante del cliente esclusivo,benefattore e credulone – e lontano sia dalla realtà che gli altri vivono, decide di farsi dare, con la forza suggellata da un rapporto di promiscuità sessuale avuto con la madre, la vera composizione di una magia avuta in eredità dalla madre al paese natio. Magia che il ragazzo userà nei confronti di una ragazza, ospite della casa, che vorrebbe avere un figlio. Questa magia scatenerà qualcosa di simile alla fine del mondo in senso cristiano, alla nascita di un anticristo, al ritorno della guerra e del sangue nelle strade, che avvicina la storia del film alle tematiche già contenute nel romanzo, di cinque anni precedente e tradotte poi al cinema da Polanski, Rosemary’s Baby di Ira Levin.
Ma il gioco nasconde simbologie, le carte vengono scoperte e dobbiamo quindi giocare sapendo e conoscendo il cinema del mazziere. Il cinema di Questi sembra sempre sul punto di raccontare qualcosa di sfuggente, un significato che in definitiva si cela dietro ai paraventi di una narrazione, dietro alle velature di un genere di riferimento. Ma soprattutto Questi è un regista che ha combattuto, durante la Resistenza, partecipando alla liberazione della zona compresa tra la Val Seriana e la Val Brembana, racconti che raccoglierà nel suo libro autobiografico Uomini e Comandanti. Una personalità che è passata dalla lotta contro il fascismo e l’occupazione tedesca agli anni del boom economico. Quindi cosa passa tra l’incitazione alla vitalità, o alla partecipazione, intesa come esclamazione di energia racchiusa nello spara che da il titolo al suo più famoso film, e le uova o le galline che rappresentano la società merceologicamente prefabbricata ed inetta contenuta in La morte ha fatto l’uovo? Cosa muove una realtà grigia ed insoddisfatta, fatta di individui schiavi del boom, o meglio, usando una definizione cinematografica trettiana, figlia di Moblon? Possiamo solo ipotizzare una risposta visto la difficoltà del tema arcano. Nel post-boom il grigiore ha preso il sopravvento trasformando gli individui in contenitori di stress ed insoddisfazioni. Un’umanità/pollame che si reca e si affida alla credulità nella metafisica per giovare il suo pessimo stato psicofisico. E come non osservarne la fine se non dietro ad una zampa di gallina? Dietro a ciò che di essi resta. Dietro al prodotto finito ed allo scarto non riciclabile? Per Questi la guerra, raccontata nel finale del film e coincidente con la nascita del nuovo bambino (o del superuomo che unisca il sacro al preconfezionato), diventa un avvertimento nei confronti della deriva societaria, lobbistica ed individualista. L’allontanamento dagli stimoli, dalle credenze, dal lato animista e, se vogliamo, occulto della realtà ha creato una psicosi tesa alla normalizzazione dell’individuo in una parvenza di sanità e di consumismo necessario, impiantato a freddo dentro la nevrosi dell’anima societaria. Gli oggetti che il figlio distende sui palazzi, all’ingresso della metropolitana, non sono nient’altro che i simboli degli scarti che abbiamo sepolto nel nostro subconscio, che sappiamo aver dimenticato anche se non riusciamo a riconoscerne la perdita, non sapendole riciclare come parti di scarto che ci appartengono o che ci appartenevano. Nel mondo/pollaio le galline hanno vista buona ed udito fino, sono vive almeno finché qualcuno non gli ricordi che stanno andando in decomposizione. Il senso del controllo dell’industriale del nord e della borghesia del dopoguerra si scompone di fronte ad una società promiscua, frastagliata, che lega il razionalismo alla superstizione, il progresso all’immigrazione nazionale. Il film di Questi solleva il tappeto sotto il quale viene nascosto l’irrazionale; dal sottosuolo della società industriale - nell’incipit del film - vengono fuori i terrori – psicosi, morti bianche, alterità culturali - ed i terroni, che con la loro spinta anarchica e tradizionalista sospingono a galla, nella realtà societaria, tutta la loro cultura ancestrale; necessaria ad alimentare l’Es di una società che esce sconfitta dalla diatriba tra Io e Super Io. Ed ecco che Questi torna agli anni vissuti del terrore e della lotta, a quella guerra che è insieme incubo e tragedia, anatema catartico vinto durante la Resistenza. Inducendo nello spettatore, attraverso la chiave simbolica , una costante partecipazione attiva, stimolando un livello cognitivo in più che non facilita l’immediatezza del senso, e restituendo un racconto esplicabile non solo attraverso la propria narrazione, che fa della traccia simbolica la giusta chiave di lettura per una società che inizia a marcire: non dagli intestini ma dalla testa, e dalla grigia massificazione delle persone che la compongono.