La morte ha fatto l'uovo
Il vero giallo per l'ironico Questi non è chi ma se questo è un uovo
"Non siamo mica dei polli!"
Quando si recensisce un film di genere, specie se appartenente al ventennio d’oro della nostra cinematografia (i Sessanta/Settanta), bisogna avere prima ben chiaro a quale versione si fa riferimento. Non è raro che un’opera possa godere di diverse varianti, anzi è molto più difficile imbattersi in un film che sia sempre lo stesso nello spazio e nel tempo. A volte l’esistenza di cut alternativi è nota al pubblico grazie a una maggiore attenzione della critica o perché resa palese da un titolo nuovo (si prenda ad esempio un western che inizialmente doveva chiamarsi Oro hondo, uscito in sala come Se sei vivo spara e qualche anno dopo tornato a essere Oro hondo). Spesso le varianti dipendono dalle arbitrarie decisioni della censura o dei distributori nei diversi mercati nazionali. Il minutaggio complessivo può variare di pochi minuti, alcune scene vengono sforbiciate giusto una manciate di secondi. Quanto basta a un corridore per perdere una competizione e a un pubblico per cambiare la propria percezione del film.
La storia di La morte ha fatto l’uovo inizia in un motel le cui stanze sono occupate da un’umanità varia, strana, cupa, preoccupante. La cinepresa non si sofferma su nessun soggetto in particolare, almeno stando alla versione in dvd della Videa. I cinefili possono riconoscere per pochi secondi Jean-Louis Trintignant mentre solleva in aria un coltello e, successivamente, mentre esce a passo svelto da un ascensore. Un pubblico più giovane probabilmente non ha idea di chi sia l’attore principale e tutto quello che verrà dopo richiederà una maggiore concentrazione. Questa premessa riguarda il film sul mercato home video italiano, perché se si recupera la versione in inglese l’antefatto al motel è più lungo. Non suggerisce, ma mostra chiaramente Trintignant usare l’arma per colpire ripetutamente una donna, mentre un uomo all’esterno li spia e poco dopo fa una telefonata. In questo caso lo spettatore sa di trovarsi di fronte a un omicidio e a un testimone, un plausibile ricattatore. E a quest’ultimo (Jean Sobieski) pone maggiore attenzione, riconoscendolo quando in seguito tornerà a farsi vivo. Il film viene quindi percepito immediatamente come un giallo, non dissimile da quelli che Umberto Lenzi comincerà a dirigere dall’anno successivo. Ogni ingrediente è già presente: l’ambientazione borghese, i tradimenti, i complotti, l’eredità, i doppi giochi. Tutto è al suo posto. Persino nella scena in cui Trintignant vede una donna in mezzo alla strada e prova a correrle dietro, se ne afferra il senso. La passante assomiglia in modo incredibile alla vittima del motel. Ovviamente questo particolare è noto solo a chi ha visto la scena iniziale per esteso, l’unica in cui appaia anche l’accoltellata, gli altri spettatori penseranno a qualcosa di più ermetico, un’ulteriore trovata bizzarra all’interno di un film scombinato. Beninteso, La morte ha fatto l’uovo è pur sempre un’opera di Jules e Kim. Ciò vuol dire che Giulio Questi e Franco Arcalli operano attraverso il genere alla ricerca di altro. Come per il precedente Se sei vivo spara e il successivo Arcana, l’intrattenimento, costruito su violenze e morbosità, è fuso a temi importanti ma non sente il bisogno di sfociare nel trattato sociologico o in facili paternalismi. Inoltre regia e montaggio sono propensi a trovare soluzioni espressive nuove ma sempre nel rispetto della comprensione narrativa. Per la loro maniera di offrire senza propinare, i film di Jules e Kim risultano in qualche modo imprendibili. Sono tanto ma con modestia, motivo per cui li si può osservare da innumerevoli angolazioni. La morte ha fatto l’uovo gioca sull’analogia tra la società del boom economico e il pollame, già presente ne Il pollo ruspante di Gregoretti ma qui stratificata nei significati. Innanzitutto l’allevamento intensivo è figlio del capitalismo imperante. Se da un lato genera disoccupazione e tensioni di classe (con gli operai che si trasformano in una minaccia per l’incolumità dei ricchi industriali), dall’altro produce veri e propri mostri (creature senza né testa né ali, buone solo per essere divorate; chiara allusione al ruolo dei nuovi consumatori).
C’è spazio anche per l’ironia quando Marco (Trintignant) cerca la giovane amante (Ewa Aulin), che nel frattempo è scappata con un coetaneo, e il primo piano perplesso di lui è montato in alternanza a quello dei polli. Basterebbe questa scena a informarci su chi sta per spennare il protagonista: lo stesso giovane (Sobieski) che più in là mostrerà a Marco la sua rappresentazione grafica di una società costituita da cittadini che sono uccelli da allevamento industriale. Alla luce di ciò il titolo appare illuminante, perché se la morte ha fatto l’uovo da cui otterrà un altro animale da macellare ciò significa che l’intera società dei consumi è figlia del suo prodotto finale, il profitto dell’autodistruzione. Inoltre l’uovo che si rompe è il punto di non ritorno, ciò a cui nessuno sa porvi rimedio, e questa immagine è perciò accostata all’omicidio, perfettamente inserita tra la premeditazione e l’azione. Chiudendo con classe, un sano umorismo inglese pervade il finale dove un poliziotto ingerisce involontariamente ciò che sta cercando.
Curiosamente, i coniugi protagonisti del film si chiamano come una futura canzone di Lucio Dalla, Anna e Marco. La prima è interpretata da Gina Lollobrigida, mentre il secondo omaggia se stesso attraverso rimandi alla propria filmografia (Il sorpasso, Un uomo, una donna). Tra l’altro Trintignant aveva già recitato accanto alla svedese Aulin l’anno precedente in un giallo anch’esso estremamente pop, Col cuore in gola di Tinto Brass. Ma ciò che lega maggiormente e tragicamente l’attore francese al film di Questi è il modo in cui perderà la figlia Marie, percossa mortalmente in una camera d’albergo. Almeno per lui, la sardonica finzione ha ceduto il posto alla crudele realtà.