La scelta di Anne - L'événement

di Audrey Diwan

Il vincitore del Leone d’oro di Venezia 78 - Sulla necessità di guardare al tema dell’aborto con più specificità

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“Mentre scrivo non posso fabbricare come nella pittura, quando fabbrico artigianalmente un colore. Ma sto tentando di scriverti con tutto il mio corpo, scagliando una freccia che penetri nel punto tenero e nevralgico della parola.” Clarice Lispector - Acqua viva

Il corpo e la scrittura sono le strutture e gli elementi su cui poggia La scelta di Anne - L’événement, film diretto da Audrey Diwan e vincitore dell’ultima Mostra internazionale d'arte cinematografica di Venezia. Attraverso il corpo di Anne, il materiale, percepiamo il dolore fisico che la sua scelta richiede. Un corpo di una giovane donna che vuole darsi totalmente alla sua aspirazione, perché la sua vita non può rinunciare al desiderio più grande. La scrittura, l’incorporeo

Tratto da L’evento di Annie Ernaux (edito in Italia da L’Orma), il film racconta di una giovane studentessa degli anni ‘60 che decide di abortire. Anne non vuole rinunciare alla sua vita e, in un momento in cui l’aborto è ancora illegale, dovrà affidarsi ai metodi clandestini, attraverso un percorso di rifiuti e incomprensioni. Quella della protagonista (interpretazione chirurgica e toccante di Anamaria Vartolomei) è la vera storia di Annie Ernaux, una delle più importanti autrici contemporanee che sta componendo una sorta di autobiografia trasversale (perché mescolata a tanti generi letterari) attraverso le sue opere. L'evento costituisce uno dei punti nevralgici della sua carriera perché cristallizza quello che è il motore della sua vita: la scrittura. A costo di tutto. Non a caso, in esergo, un’altra scrittrice che ha dato tutto il suo corpo in favore della scrittura, Clarice Lispector, e che come Ernaux, immerge e racconta se stessa nei suoi libri, attraversando vari generi: epistolare, diaristico, autobiografia frammentata e romanzata. Sono donne che hanno fatto della scelta una missione di vita. Scrive infatti Ernaux in una delle pagine più belle del romanzo: “Ho finito di mettere in parole quella che mi pare un’esperienza umana totale, della vita e della morte, del tempo, della morale e del divieto, della legge, un’esperienza vissuta dall’inizio alla fine attraverso il corpo.” 

Così, l’aspetto interessante del film di Audrey Diwan è proprio nel profilare il percorso iniziatico della scrittrice nel momento del suo svezzamento e dell’emancipazione da quella che può essere un’eventuale prigionia.

Nelle prime scene del film, Anne annota sul suo diario il ritardo mestruale, la vediamo subito nuda, la regista crea un contatto immediato tra l’occhio dello spettatore e il corpo della protagonista. Un corpo che dovrà fare esperienza della sua scelta, che dovrà subire un martirio, come una nuova Giovanna D’Arco colpevole solo della sua consapevolezza.

La regia di Diwan così ci immerge nel percorso di Anne, sceglie un formato 4:3 soffocante e claustrofobico, segue spesso la protagonista da dietro, ne esamina i dettagli del corpo e nel momento dell’operazione si mette alle sue spalle, a metà tra la figura vicaria di un’infermiera e lo sguardo impotente al dolore. Anne, prima di arrivare a chi le praticherà quell’aborto clandestino (meravigliosa algida interpretazione di Anna Mouglalis) - praticato da quella che in Italia veniva volgarmente chiamata mammana - deve affrontare ipocrisie e rifiuti anche dalle stesse amiche che si presentavano come ragazze in cerca di emancipazione. Il radicamento del ripudio all’aborto è endemico ma la forza di Anne, e di questo film, è di voler mostrare come una donna possa avere il diritto anche a non soffrire per la scelta di abortire. Anne, come dalle sue parole, non riuscirebbe mai ad amare un figlio che le toglierebbe la libertà di poter diventare ciò che il suo corpo invece sente di fare, scrivere. Se in un film dal tema analogo come 4 mesi, 3 settimane e due giorni di Cristian Mungiu (vincitore della Palma d’Oro a Cannes) il calvario delle protagoniste verso l’aborto clandestino è il calvario di una intera nazione sotto il regime, qui la questione si fa molto più intima e personale. Oltre alla questione puramente socio-politica, sembra che il film voglia anche concentrarsi su un dilemma spesso dato per scontato: chi può decidere come una donna debba vivere un aborto? Anne vuole liberarsi di quel corpo che le cresce dentro e sente alieno, e i cartelli con il passare delle settimane di gravidanza aumentano quel senso di soffocamento e di ticchettio inesorabile del tempo. Dando così attenzione al corpo della protagonista, al dolore fisico che sarà costretta a sopportare, si sottolinea la forza interiore di una ragazza che può rifiutare quello che viene spesso descritto come “il più grande dono”. La maternità.

L’importanza di un film (e prima di un grande libro) come La scelta di Anne sta proprio nel guardare il tema con una certa specificità e finalmente fuori da ciò che può essere visto solo come il solito travaglio interiore di una donna che decide di interrompere la gravidanza. Qui la via crucis è sociale e legale, e poi anche fisica. Anne, in quel momento, ha scelto l’incorporeo, l’immateriale. La scrittura. E resta con il bellissimo finale a schermo nero, solo il suo desiderio: il rumore di una matita su un foglio. 

Autore: Andreina Di Sanzo
Pubblicato il 23/11/2021
Francia 2021
Regia: Audrey Diwan
Durata: 100 minuti

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