B-Movie: Lust & Sound in West-Berlin

Rielaborando gli archivi in Super-8 di Mark Reeder, B-movie è una vivida testimonianza musicale di una città che non esiste più.

Il mito della repubblica di Weimar, della disordinata e decadente società destinata all’incubo, popolata dai più grandi artisti mondiali di quegli anni straordinari, riesplose negli anni sessanta. Cabaret, il musical di Bob Fosse, era l’inizio di un interesse viscerale che attraversò gli eroi della rivoluzione musicale degli anni successivi. David Bowie si diede a Berlino con Iggy Pop e scrisse una trilogia, Lou Reed di quella città ne fece un concept album (Berlin) inevitabilmente lugubre. Ma ci sarebbe così tanto altro da raccontare.

B-Movie è una vivida testimonianza di una città che non esiste più. Non esiste più la Berlino Ovest delle case occupate, dei tossici appassionati di anfetamine scadenti, la città che ballava la new wave ogni notte e dei suoi club che alle luci dell’alba raccoglievano i morti viventi, i sopravvissuti.

Il film diretto da Jörg A. Hoppe, Klaus Maeck ed Heiko Lange rielabora gli archivi in Super 8 di Mark Reeder, che negli anni settanta era un ragazzino della Manchester abbruttita delle industrie collassanti. Mark lavorava in un negozietto di dischi, grazie al quale poteva assorbire tutto l’underground che gli passava tra le orecchie. La bomba musicale furono i Sex Pistols ed i Buzzcocks, ma la deflagrazione colpì l’intera Europa. Dalla Germania arrivò la contraerea musicale, qualcosa di minaccioso, di ancora più innovativo del gruppo londinese stesso. Fu il krautrock dei Kraftwerk e dei Tangerine Dream a spingere Mark lontano dall’isola natia, ad affrontare l’odissea del viaggio delle due Germanie, a percorrere le autostrade della Repubblica Democratica Tedesca, dalle radio affollate di criptici messaggi numerici indirizzati alle spie sovietiche, e raggiungere la piccola isola di libertà che si erano spartite gli USA, l’Inghilterra e la Francia.

Berlino Ovest era grigia come Manchester, ma esplodeva di movimenti sotterranei.

B-Movie vive delle parole di Mark Reeder, e la potenza del documentario sta nel darci la sensazione di essere non semplici spettatori cinematografici, qualcosa di più, il corpo di Mark è un medium nel quale riviviamo la tempesta berlinese. Il viaggio dei corpi è frenetico e messo in scena dai viaggi notturni dei taxi che trasportano da un locale all’altro le anime perse, sedili posteriori nei quali sedevano registi, attori, musicisti, pittori, dai nomi teutonici. Meta di artisti persi, Berlino diventa per qualche tempo la casa di Nick Cave, che se ne stava in un tugurio circondato dalle amate riproduzioni di arte gotica, eroina ed una pistola carica. Muoiono i The Birthday Party e nascono i Bad Seeds, frutto dell’incontro amoroso con Blixa Bargeld, destinato a divenire l’eroe simbolo di quegli anni. Sì, forse l’opera di Hoppe/Maeck/Lange fa rivivere il lato più burroughsiano di Berlino, quello drogato, sperimentale, alle soglie di una distopia fantascientifica.

Visions of swastikas in my head, canta Bowie nel controverso testo di China Girl. Il film è una chiave di lettura di quegli atteggiamenti spasmodici di una gioventù che per ribellione arrivò a subire il fascino del nazismo, riadattandolo con grottesco erotismo, omosessualità, che esplode nel cinema sperimentale di Jörg Buttgereit, autore di culto (Nekromantic), per il quale Mark Reeder indossa i panni di un brutale ufficiale nazista.

B-Movie è un’opera malinconica ma vissuta di ironia sincera, e qui i paragoni con il cinema di Julien Temple potrebbero prendere piede, è assente una cupa nostalgia ed un senso di perdita nelle parole di Reeder. La new wave scoppia come una bolla economica, la puzza del successo svilisce i suoi protagonisti, che sono stati sedotti ed abbandonati dalle notti infinite. Ma il documentario è capace di chiudersi con una sorta di “Be continued”. L’epilogo è roboante, David Bowie nel 1987 canta sotto il Reichstag, le sue parole arrivano nella Berlino Est. E’ l’epilogo, o meglio, il preambolo della nuova era, che comincia due anni dopo, il muro crolla mentre David Hasselhoff canta Looking for a Freedom (https://www.youtube.com/watch?v=0zXiClnK8oE). Lo squarcio del muro è la liberazione del documentario stesso, che lascia lo spazio al futuro della Berlino unita, quello di prima capitale Europea della techno e della musica elettronica.

Autore: Diego De Angelis
Pubblicato il 08/06/2015

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