Zombi Child
Bonello rilegge lo zombie-movie attraverso la cultura haitiana. Il corpo zombificato diventa corpo storico attraverso cui rivivono i fantasmi dell’orrore schiavista
A Bertrand Bonello bastano poche inquadrature a macchina fissa per fondere, nei primi minuti di Zombi Child, dimensione magica e sguardo antropologico. L’ottavo lungometraggio del regista, presentato a Cannes nella Quinzaine des Réalisateurs, inizia nel tenebroso plenilunio di una notte haitiana, sui versi del poeta francese nato ad Haiti René Depestre:
«Écoutez monde blanc / Les salves de nos morts / Écoutez ma voix de zombi / En l’honneur de nos morts»
Seguono le immagini della preparazione di una polvere a base di tetrodotossina - veleno contenuto nel pesce Tetraodon (o pesce palla) - in grado di far piombare in uno stato catalettico simile alla morte il malcapitato. È il 1962, anno in cui Clairvius Narcisse, il cui caso venne studiato dall’antropologo Wade Davis nel celebre Il serpente e l’arcobaleno - già alla base dell’omonimo film di Wes Craven -, cade vittima di un rito di zombificazione. Bonello immagina che l’uomo, dato per morto, sepolto e poi riesumato in segreto, venga costretto in stato di trance a lavorare in una piantagione di canne da zucchero assieme ad altri sventurati. Si passa poi alla Parigi del 2017, dove tra le allieve della prestigiosa La maisons d’éducation of the Legion of Honor, c’è anche Mélissa, misteriosa nipote di Narcisse. La ragazza suscita ben presto le attenzioni di alcune compagne.
Zombi Child rivolge lo sguardo alla cultura vudù restituendola alla sua tradizione haitiana, a quel sistema di credenze profondamente radicato in ogni aspetto della vita locale, compreso quello politico. Basti pensare all’importanza che il vudù ha avuto nella retorica oscurantista di François Duvalier che proprio nei primi anni Sessanta instaurò il suo violento regime, e all’attuale esistenza di società segrete che praticano la zombificazione, nate a seguito della ribellione degli schiavi afroamericani nel XVIII secolo e descritte recentemente anche dal patologo Philippe Charlier. Ma il vero vudù è anche e soprattutto una religione ufficialmente riconosciuta e praticata da intere comunità con scopi tutt’altro che maligni, solo in parte legata alla magia nera.
Attingendo a questo panorama Bonello trasforma la figura dello zombi da minaccia verso l’ordine costituito (il grande terrore dell’immaginario hollywoodiano) a vittima di un regime repressivo. Si passa così dalla paura occidentale per il disfacimento del sistema alla paura suscitata dal sistema stesso. Il corpo zombificato, osservato con umana pietas, diventa corpo storico attraverso cui rivivono i fantasmi dell’orrore schiavista, così come nel precedente Nocturama - che con Zombi Child compone un dittico ideale - i corpi ridotti a manichini dei giovani attentatori diventano immagine agghiacciante della deriva capitalistica. Non è un caso del resto che tra le fonti ispiratrici di Nocturama Bonello citi proprio Zombi di George A. Romero. Ma se la rigorosa bipartizione narrativa e stilistica del film precedente avviene in continuità, in Zombi Child questa divisione è affidata al contrario alla ricorrente alternanza dialettica dei due piani temporali (Haiti 1962, Parigi 2017) che, allacciando tra di essi relazioni sotterranee e intermittenti («La storia è un flusso discontinuo di eventi» insegna, nel film, lo storico Patrick Boucheron alle allieve del collegio parigino), istituisce una rete di relazioni che proiettano la riflessione sul colonialismo ben al di là della mera storia haitiana.
In modo intelligente e lampante, Bonello conduce tale riflessione proprio attraverso il lavoro sul sottogenere-cinematografico (appunto lo zombie-movie), come terreno di indagine di uno scontro sociale, politico ed economico che si fa lotta dell’immaginario. Come l’Occidente ha vampirizzato la figura dello zombi, colonizzandola a proprio uso e consumo fino a snaturarne l’identità originale, così il regista racchiude il retaggio della tradizione vudù, veicolata dal personaggio di Mélissa, all’interno di uno spazio asettico e restrittivo, il collegio parigino voluto da Napoleone, in cui si condensano le contraddizioni di un’Europa divisa tra valori democratici e la sua eredità imperialista. Spazio-ventre in cui domina un bianco abbacinante, in contrasto con le tinte fosche e il decadente lirismo del primo livello narrativo. Ma qui Bonello, regista di forze oppositive e radicali ribaltamenti, attua la sua inversione. Non è Mélissa a lasciarsi fagocitare, ma sarà al contrario l’amica Fanny a rischiare di smarrire sé stessa quando, spinta da una concezione superficiale e distorta della religione vudù, si sottoporrà a un rituale per lenire le pene d’amore, finendo accidentalmente posseduta dalla terribile divinità Baron Samedi, in un finale di inquietante potenza visionaria. Se dunque l’immaginario occidentale agita dapprima l’inconscio di Mélissa - che in una scena onirica si immagina nelle vesti di un famelico zombie mangia uomini -, è infine lo stesso Occidente a collassare metaforicamente su sé stesso, schiacciato dall’arroganza di poter addomesticare culture a sé estranee.
Horror d’autore tra i più intelligenti nel rileggere il tema zombie, tra istanze storiche e riflessione universale, Zombi Child è anche un’esperienza cinematografica di magnetica fascinazione. Nonostante il budget modesto, Bonello non rinuncia al suo cinema estetizzante, prezioso e suggestivo in ogni sua inquadratura, qui più che mai immaginifico, capace di evocare luci e ombre del folklore magico haitiano, aleggiando sul filo di una perturbante inquietudine. L’ennesima conferma della vitalità e dell’importanza di questo autore.