Bisogna combattere tutti i giorni.
Dal lavoro si può andare in pensione, dalla lotta no.
Giovanna Marturano
Chi segue da vicino il mondo del cinema italiano indipendente, invisibile, sotterraneo, questa bimba ce l’ha nel cuore. Non da poco, non dalla visione, da molto prima. Giovanna Marturano, classe 1912, presidente onorario dell’ANPI, partigiana, antifascista, comunista, femminista. Una donna d’una forza travolgente, che attraversa lo schermo e ti acciuffa per il bavero, ti scuote nell’ignavia e ti indirizza nella solerzia; una donna che si fa documento da sola, basterà porre dinanzi a lei una macchina da presa e lasciare che il fiume in piena fuoriesca dalla sua persona. Persona minuta, gesticolante, con quella voce fresca che nemmeno sembra abbia tirato fuori parole per un secolo. Quella macchina l’hanno posta dinanzi a lei Claudio Di Mambro, Luca Mandrile e Umberto Migliaccio, vecchie conoscenze di quegli stessi appassionati della Bimba, di un cinema che amiamo e per il quale intendiamo continuare a spendere tempo e parole, affinché si continui a far vedere, affinché si continui a fare. Di Mambro, Mandrile, Migliaccio, registi cari a queste pagine.
Di lotta si vive era un documentario del 2011, storia di Resistenza e di antifascismo anche quella; Giovanna aveva allora due compagni di viaggio nella sua ricostruzione di una vita condotta sempre la lato giusto della barricata, Agostino Medellina e Tina Costa l’avevano aiutata nella conduzione di quel racconto che sempre qui, avevamo definito “necessario”. Ma Giovanna sgomitava, si faceva largo con quel suo fare di chi ha una vita di aneddoti da raccontare, l’esperienza che si fa cultura e degli ideali che non conoscono difetto; necessario divenne allora anche Bimba col pugno chiuso, perché sprecare un potenziale così smisurato di forza scenica e contenuti sarebbe stato delittuoso per chiunque, figurarsi per tre autori attenti come coloro che si celano dietro i due lavori. Due ore in tutto di racconti, considerando i due documentari come un dittico legato dall’invisibile – e sempre più flebile – filo della memoria, tenuti insieme da un contesto quanto mai essenziale che aiuta a sentirsi parte di una famiglia, legata da un’utopica genitrice, fatta di ideali meravigliosi con sembianze d’uguaglianza sociale, di integrazione. Immagini e parole scorrono come un libro che tiene viva la nostra curiosità, di quelli che fatichiamo a riporre finché anche l’ultima pagina non è stata divorata: sessanta minuti ma ne avremmo graditi molti, molti di più.
Tecnica mista, animazioni che circondando il corpo di Giovanna, lo incorniciano, lo completano. Questo il percorso estetico scelto dai tre registi/montatori/direttori della fotografia, percorso sempre caro al documentario italiano (Armando e la politica di Chiara Malta utilizzava le stesse modalità, per citarne uno) e che in questo caso completa la figura secolare di Giovanna con quel tocco d’ingenua giovinezza che crea un mix di debordante potenza espressiva. Alla riuscita estetica del lavoro si aggiunge la bella colonna sonora realizzata da una squadra numerossisima (che vale la pena elencare: Paolo Camerini, Amy Denio, Roberto Fega, Bianca la Jorona Giovannini, Roberta Montisci, Ludovica Valori) a dimostrazione che Todomodo resta una vera e propria factory, dedita all’audiovisivo d’impegno sociale, barricata in posizioni che continueremo a sposare finché avremo un briciolo della forza di Giovanna Marturano.