“Il miglior modo di conquistare la libertà,
è esercitare la libertà”
Mattonelle come quella di una volta, da casa popolare; muri di cui si riesce a fatica a scorgere il colore, coperti come sono di quadri e vecchie fotografie; visi rugosi e segnati dal tempo, occhiali spessi che aiutano occhi oramai stanchi. Di lotta si vive è un documentario sulla voglia di lottare, sui ricordi e sulle speranze, ma è altro ancora. È anche un’immagine splendida della vecchiaia, una foto di quelle che ingialliscono col tempo, acquisendo un fascino sempre maggiore. È un vorticoso gesticolare di mani, sono le scalette che conducono a quella che fu una delle sezioni del Partito Comunista Italiano, è un’immagine di repertorio, una fotografia remota di un soldato senza sorriso.
Ci sono poi i racconti, le parole che come un tamburo picchiano sulla nostra coscienza, che – lungi dall’esser collettiva – si batte per divenire quantomeno spia che segna la riserva di un’umanità che dovremmo possedere; di quella fornita in serie, al momento della venuta al mondo. Agostino Medellina parla seduto su una sedia in legno, una libreria senza più spazio per sopportare altra conoscenza lo sovrasta. Uno dei soldati senza sorriso era lui, prima di fuggire. Tina Costa e Giovanna Marturano partono con un tono pacato, che pian piano acquista vigore, il suo incedere si fa incalzante e fiero. È passata quasi una vita – la loro – ma ci fu un tempo in cui il giorno fece una conoscenza ignobile: i rastrellamenti. Quelle battaglie sono cessate, la libertà di oggi ha un aspetto più affabile, seppure non si possa dire abbia ceduto al corteggiamento di chi l’ha inseguita con ostinata continuità. Sono questi i giorni in cui Andrea Rivera dal palco della festa del primo maggio (che non è Togliatti dal tavolo dell’Internazionale, ma è pur sempre qualcosa) ci ricorda che i partigiani siedono le panchine vicino a noi nei parchi, che se siamo fortunati sono i nostri nonni e se siamo meno fortunati sono nonni di un nostro amico. Sono in mezzo a noi, e non è necessario aspettare il 25 aprile per ascoltare il loro insegnamento, abbia esso anche la più umile delle forme.
Claudio Di Mambro, Luca Mandrile e Umberto Migliaccio appongono la firma su un documentario al quale potrebbero essere attribuiti molti aggettivi: necessario, quello che più si avvicina a riassumerli tutti. Tre nomi che Point Blank si è già trovato dinanzi: Ma l’amor mio non muore, un lavoro su un tema estremamente simile era frutto delle stesse menti. Di una bellezza anche superiore a Di lotta si vive, se non altro per l’aurea nostalgica che il tornare sui luoghi della Resistenza donava al tutto. Due lavori che comunque, allo stesso modo, dovrebbero esser mostrati in ogni scuola, in sostituzione di una lezione di storia del nostro paese, perché se è vero che a breve saranno le immagini e le nostre parole i depositari della memoria, è bene che questa memoria si allarghi e contagi come la più inarrestabile delle affezioni.
Ancora Todomodo quindi, bottega d’artigiani dalla mano finissima, alla quale I Sotterranei tenta ed ha tentato di dar voce – parlando, come detto, dello splendido Ma l’amor mio non muore e di Inside Out – probabilmente con risultati minori di ciò che meriterebbe; ma fosse anche una sola persona in più ad aver visto questi lavori, potremmo sentirci nel nostro piccolo fieri. Perché, se di lotta si vivesse realmente abiteremmo sicuramente in un mondo migliore.