Non si è seri a 17 anni. Quando tutto è possibile. Si è lì e altrove. Spring Breakers di Harmony Korine è stato il primo a raccordare questa intuizione di Rimbaud alle violent girls, alle Tura Satana dei giorni nostri. Ma si può essere molto violenti soprattutto contro se stessi. Occhi prensili e indomiti, sguardo piuttosto disperato sullo stato sentimentale del mondo, come quelli di Julia Roberts in Mystic Pizza; corpo fragile e androgino, ancora in formazione, la giovane modella Marine Vacth impersona Isabelle/Lea, nel ritratto di una diciassettenne parigina che studia i poeti e Corneille alla Sorbona e affronta parallelamente il misterioso mondo del sesso, senza rete né l’aiuto di alcuno a parte l’istinto, in Jeune et Jolie (Giovane e bella), il film di Francois Ozon in concorso a Cannes 66.
E’ il primo tassello della prepotente presenza francese, un terzo dell’intera selezione ufficiale. E dà il suo contributo, parzialmente originale, a uno dei temi chiave di questa edizione. La radiografia dei teenager, questo oggetto misterioso, questi corpi in mutazione dolorosa, che vanno in anestesia emotiva perché si ribellano al doppio gioco dell’eccitazione obbligatoria e dell’ipocrisia opportunista. E decidono di vivere, ritualmente, nei territori più vietati. Si danno uno spazio proibito e lo occupano totalmente. Isabelle, infatti, si prostituisce, in gran segreto. A trecento euro e oltre. Con il cellulare prima e con l’iphone dopo non è così difficile come sembra e fortunatamente per una minorenne ‘autonoma’ le cose andranno quasi lisce come l’olio. Neppure le amiche sapranno nulla o il quasi boy friend, a cui insegnerà comunque tutte le posizioni. Lo fa non per soldi, non per comprarsi le borse di Prada, non per noia, non per pagarsi gli studi (“non le è mai mancato niente!” esclamerà la madre appena informata, per giustificarsi, stupefatta e allibita), come le ragazzine in band dei film giapponesi o coreani che hanno meno problemi coi sensi di colpa delle coetanee cristiane e reagiscono all’impoverimento spirituale con l’heavy metal corporeo e merceologico. Insomma prova stoicamente cosa vuol dire fare sesso. Ne è attratta fisiologicamente, come potrebbe esserlo per la droga, per la scarnificazione anoressica del proprio corpo, appena sverginato sulla sabbia di una vacanza estiva o, quarant’anni fa, per interpretare conseguentemente la rivoluzione totale.
E’ un viaggio senza perversione ai confini della realtà. Viaggio di crescita. Vediamo come ci si sente in una società che pretende sempre di più l’asservimento totale non solo del corpo ma della mente. E qui non si manca di alludere, con moralismo subcutaneo, ai pericoli per l’età evolutiva della totale e libera esposizione alla civiltà digitale…
Un vecchio cliente, morto sul colpo durante l’amplesso, perché il cuore non regge al viagra, le complicherà, però, la vita. Polizia, la famiglia che scopre tutto e la spedisce dallo psicologo, Charlotte Rampling, la moglie dell’estinto, che cercherà di spezzare con un po’ di saggezza e d’esperienza il settarismo drastico di questa ‘teppista dell’immaginario’, frequentatrice di siti porno estremisti. Ma. Quattro canzoni di Francois Hardy, ai confini del melenso, e quattro stagioni dell’anno, che quadruplicano i punti di vista (Isabelle vista dal fratellino, dai clienti, dalla madre, dal patrigno) rimodernando la struttura multioculare alla Vera Caspary (o alla Kurosawa), danno ritmo, qualche romantico consiglio obliquo e un quadro temporale rassicurante come una soap opera a questa tragedia ormonale adolescenziale, che si tiene però bene alla larga dal melò (non si racconta una storia d’amore impossibile, ma l’impossibilità stessa della storia d’amore) senza la gelida tensione di un racconto morale di Rohmer, o l’assordante pathos che abbraccia le immagini ellittiche di Bresson. Perché il raccordo sesso-sentimenti non può, non deve scattare. E qui certe distorsioni estetiche alla moda, l’occhio da entomologo del regista che non vuole dare giudizi, non vuole entrare in campo, non vuole spiegare le cose o dettare la linea, sono riportate a armonia spettacolare dall’amore palese che Ozon esibisce rispetto al suo personaggio. Anche la cinepresa si sdoppia, tra quella che segue zavattinianamente la ragazza presa dalla strada e il voyeur appassionato. Si esplora l’amore dall’altro lato, il sesso, il porno, gli attrezzi del piacere, i corpi merce…come fosse una complicità nella fuga, nell’esodo dal mondo, nel mistero Isabelle, che dà piacere da ninfetta senza provare il piacere della ninfetta. E fa venire in mente Sex in the City, quel serial che tanto manda in bestia il sistema nervoso dei benpensanti reazionari forse perché a scardinare la gerarchie e l’ordine della famiglia patriarcale c’era un gruppo di sceneggiatori gay dall’umorismo appuntito che si fanno beffe delle identità e delle differenze. Infatti. Dalla famiglia borghese, agiata e, s’intende, progressista, nessun aiuto per Isabelle. Il padre non c’è, col patrigno nessuna complicità è possibile, sarebbe equivocata dalla mamma gelosa (la madre ha per amante un amico nero di famiglia), il fratellino, macchina acerba del desiderio già avviata, è troppo piccolo ma addomestica bene i videogames. E’ bene escluderli. Crearsi un alter ego avventuroso. Misterioso, clandestino, solitario.